Oltre la contrapposizione pubblico-privato

Finisce il Leviatano e si fa spazio ad un'antropologia positiva basata sulla sussidiarietà 

“Con la crisi mondiale finisce il Leviatano. Finisce lo Stato pesante e invasivo, più o meno consapevolmente costruito sul presupposto di Hobbes, ovvero sulla base di quell’antropologia negativa a sua volta fondata sull’homo homini lupus, sulla malfidenza verso la persona e la sua attitudine verso gli altri. Sta emergendo ovunque, per convinzione o per convenienza, un’antropologia positiva”. Queste le parole del Ministro con le quali si apre l’intervista al Corriere, riprendendo alcune idee fondamentali già espresse nel Libro bianco varato dal Ministero nel 29, sul futuro del modello sociale, dal titolo: "La vita buona nella società attiva".

Una rivoluzione nella tradizione

Secondo Sacconi, la rigida disciplina di bilancio inaugurata dal governo si inserisce in una visione che coniuga al suo interno il federalismo fiscale e il nuovo modello sociale sussidiario, vale a dire “l’incrocio della sussidiarietà verticale con quella orizzontale. Meno Stato, più società. Non ‘più mercato’; più società”. Tale modello comporta lo spostamento del potere dal centro alla periferia, “dal pubblico verso le persone, le famiglie e le tante forme associative che le persone e le famiglie sanno produrre in un paese in cui c’è una straordinaria tradizione di esperienze comunitarie”.

Si tratta di “una rivoluzione nella tradizione”, che affonda le sue radici nell’esperienza francescana, nelle opere pie, nelle società di mutuo soccorso, nelle cooperative laiche e socialiste e nella tradizione delle parti sociali, che in nessun paese sono importanti come in Italia e che si fonda su quel grande cambiamento culturale che è il passaggio da un’antropologia negativa ad un’antropologia positiva.

La “Big society” di Cameron

Le parole del ministro Sacconi sembrano riecheggiare il discorso di David Cameron, noto come il discorso sulla “Big society”. “There are the things you do because it’s your duty. Sometimes unpopular – but you do them because it is in the national interest. And yes, cutting the deficit falls into that camp. But there are the things you do because it’s your passion. The things that fire you up in the morning, that drive you, that you truly believe will make a real difference to the country you love. And my great passion is building the Big Society”. Con queste parole il primo ministro inglese David Cameron si è espresso a luglio nel corso di un incontro tenutosi a Liverpool.
Cos’è la “big society” nel progetto di Cameron? “You can call it liberalism. You can call it empowerment. You can call it freedom. You can call it responsibility. I call it the Big Society. The Big Society is about a huge culture change, Where people, in their everyday lives, in their homes, in their neighbourhoods, in their workplace don’t always turn to officials, local authorities or central government for answers to the problems they face but instead feel both free and powerful enough to help themselves and their own communities”.

Quattro le iniziative pilota proposte per rendere attuale il progetto della “big society” (Cumbria, Windsor and Maidenhead, Liverpool, Sutton) che vanno da progetti per le energie rinnovabili, al volontariato nei musei, dai trasporti urbani sostenibili allo sviluppo dei bilanci partecipati.

Ricetta anti-crisi o rivoluzione culturale?

È interessante notare come in tempi di crisi si moltiplichino gli appelli alla sussidiarietà orizzontale, quasi fosse l’antidoto per uscire da una situazione che impone tagli alle politiche di welfare, segnando una contrazione dello stato sociale. Se i termini della questione fossero questi, tali discorsi non sarebbero che una manifestazione, l’ultima in ordine di tempo, delle politiche liberiste che hanno contraddistinto la politica di molti paesi nell’ultimo decennio. Viste dall’esterno le iniziative messe in atto potrebbero sembrare le stesse: tagli, contrazione della spesa pubblica, riduzione delle politiche sociali. Da questo punto di vista, il richiamo alla sussidiarietà orizzontale e allo spirito di comunità servirebbe solo a mascherare le difficoltà di un modello di sviluppo entrato in crisi.

Se invece si guardasse ad un progetto di lungo periodo in cui la sussidiarietà orizzontale non fosse solo un palliativo momentaneo per alleviare i dolori della crisi, ma la proposta di un modello alternativo di gestione e organizzazione della vita pubblica, allora saremmo in presenza di una vera e propria rivoluzione culturale, della quale i paesi occidentali hanno bisogno da tempo.