Nonostante gli annunci, le politiche sociali verranno ridimensionate

Con il taglio dei fondi, il terzo settore viene spogliato di risorse indispensabili

Sembra questo il messaggio che proviene dalla manovra economica appena varata dall’esecutivo. La legge di stabilità appena approvata in Parlamento metterà definitivamente in ginocchio il sistema dei servizi sociali italiani e colpirà pesantemente i tanti cittadini e le numerose famiglie che di questi servizi hanno particolarmente bisogno.

Ne è convinta la gran parte degli operatori del settore. A partire dalle organizzazioni del volontariato e del terzo settore italiani, convinte che, proprio nel momento in cui i cittadini dovrebbero poter contare su istituzioni che li aiutano dinanzi alle gravi difficoltà provocate dalla crisi economica, lo Stato batte in ritirata e lascia completamente sole le famiglie, scaricando su di esse un peso insostenibile.

"Siamo in presenza di una forte regressione sul terreno dell’uguaglianza e della solidarietà", sostengono, per esempio, le organizzazioni civiche che promuovono la campagna "I diritti alzano la voce". In particolare, "ciò che appare ingiustificabile e inaccettabile è l’incredibile riduzione di risorse che hanno subito i fondi nazionali che riguardano le politiche sociali: dal 28 al 211 le risorse complessive subirebbero una riduzione di quasi l’8%! Nessun altro settore di tale rilevanza ha accusato una decurtazione anche solo paragonabile".

I numeri, infatti, parlano chiaro. Il Fondo nazionale politiche sociali scende dai 929,3 milioni di euro del 28 a 275,3; il fondo per la non autosufficienza (già fortemente sottodimensionato) passa da 3 milioni (4 nel 29 e nel 21) a zero; il fondo per le politiche della famiglia da 346,5 a 52,5. E questi sono soltanto alcuni esempi, tratti dai comparti principali. Nel complesso, le risorse destinate al sociale dovrebbero passare dai 2 miliardi 527 milioni del 28 ai poco più di 545 milioni previsti per il 211.

Le difficoltà economiche di regioni ed enti locali si tradurranno non solo in meno servizi, ma anche in un aumento dei ritardi nei pagamenti dovuti al terzo settore, che già ora sono talmente alti – in alcune regioni si arriva anche a due anni – da mettere a rischio la sopravvivenza stessa delle organizzazioni: in molti casi si parla di rischio collasso. Si tratta di un dato molto grave, specie se confrontato con le promesse del ministero del Welfare di rilanciare le politiche sociali sull’esempio della Big Society Revolution annunciata dal premier britannico David Cameron.

In questo contesto, a pagare saranno sopratutto i cittadini più deboli. Mentre regioni e comuni non saranno in grado di assicurare servizi essenziali come l’assistenza domiciliare agli anziani, i servizi di supporto alla famiglia, i contributi economici che aiutano le famiglie ad arrivare alla fine del mese, gli interventi in favore delle persone con disabilità.

Il taglio più significativo riguarda il Fondo nazionale per le politiche sociali(FNPS). Le risorse del FNPS, che rappresenta la principale fonte di finanziamento statale degli interventi di assistenza alle persone e alle famiglie, contribuiscono in misura decisiva al finanziamento della rete integrata dei servizi sociali territoriali attraverso la quota del fondo ripartita tra le regioni (che a loro volta attribuiscono le risorse ai comuni, che erogano i servizi ai cittadini in conformità ai Piani sociali di zona). In altri termini, senza quelle risorse non è possibile applicare la legge 328/2 – che si fonda proprio sul principio di sussidiarietà (con un anno di anticipo rispetto alla riforma del Titolo V della Costituzione) – nè è possibile rafforzare il ruolo delle tante organizzazioni civiche che sono impegnate per la tutela dei diritti sociali.

Come spiega anche la Legautonomie, un’associazione di enti e autonomie locali, "al netto delle spese obbligatorie dedicate ai diritti soggettivi, gli stanziamenti del bilancio di previsione dello Stato relativi al FNPS erano pari a 929,3 milioni nel 28. Nel biennio successivo il governo Berlusconi ha messo in atto una prima, drastica riduzione fino ai 435,3 milioni previsti per il 21. Per il 211, il Fondo viene ulteriormente ridimensionato: lo stanziamento iniziale è stato incrementato di 2 milioni dal maxiemendamento del Governo approvato dalla Commissione bilancio della Camera, ma il taglio rispetto al 21 è comunque pesante: – 37,1%. Nel 212-213, la prospettiva è quella di un quasi completo definanziamento del Fondo, con stanziamenti ridotti a 7 milioni nel 212 e 44,6 milioni nel 213".

Particolarmente colpite saranno le risorse destinate alle regioni (progressivamente diminuite, come evidenzia un recente dossier della Conferenza delle Regioni, dai 67,8 milioni del 28 ai 518,2 milioni del 29 fino ai 38,2 milioni del 21): di molto ridotte nel 211 (275,3 milioni da suddividere tra le regioni e il ministero del Welfare) e di fatto annullate dal 212 (poichè i fondi disponibili basterebbero a malapena per il ministero del Welfare), compromettendo un decennio di costruzione della rete territoriale dei servizi sociali.

Perfino la tutela della famiglia, che pareva essere uno dei capisaldi delle politiche di questo governo, viene ridimensionata. Il Fondo per le politiche della famiglia, istituito nel 26, era destinato a finanziare il funzionamento dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia, l’elaborazione del Piano nazionale per la famiglia, il sostegno delle adozioni internazionali, le iniziative di conciliazioni dei tempi di vita e di lavoro, il fondo di credito per i nuovi nati e alcuni interventi relativi ad attività di competenza regionale.

Se nel 28 il Fondo poteva contare su 346,5 milioni di euro, nel biennio successivo gli stanziamenti sono stati dimezzati (186,5 milioni nel 29 e 185,3 milioni nel 21). Nel 211 le risorse destinate al fondo verranno ridotte del 72,2 % rispetto al 21, scendendo a 51,5 milioni. E’ evidente lo iato tra la retorica sulla necessità di un welfare più orientato verso le famiglie e i reali obiettivi dell’esecutivo.

Davvero bisogna chiedersi quale sia la missione delle istituzioni pubbliche, se queste non agiscono attivamente per preservare e promuovere il benessere sociale di ogni cittadino.

E la Big Society? Che fine fa se il governo non promuove più politiche pubbliche per il finanziamento di servizi che riguardano la collettività e i soggetti più deboli? Che cosa resta di quella promessa di società più forte se le organizzazioni civiche non sono messe nelle condizioni di svolgere le loro attività di tutela e di servizio?