La sussidiarietà si inserisce nei rapporti tra Stati ed Unione Europea, permette di ribadire la competenza di principio dei primi e nel contempo riconosce la possibilità che la seconda estenda il proprio raggio d’azione a tutte le materie degli Stati. In altri termini, più funzioni vengono attribuite all’Unione, ma il relativo esercizio è condizionato all’insufficienza dell’azione statale.
L’Autore analizza quindi la capacità d’azione di questo principio quale strumento legislativo e giudiziario, ricostruendone il campo applicativo ed evidenziandone i limiti impliciti.
Ma la dimensione legislativa non esaurisce la valenza del principio in esame; quest’ultimo rileva infatti anche come criterio volto a regolare l’esercizio delle competenze; la sussidiarietà riguarda anche il "come" viene esercitato un potere. Segue quindi un’attenta disamina che coinvolge l’amministrazione e i diritti amministrativi, sia comunitario sia nazionali, e ne svela un processo di unificazione ed armonizzazione; in tale ricostruzione riemerge il principio di sussidiarietà quale incentivo alla cooperazione ed alla coamministrazione e limite all’amministrazione comunitaria diretta.
Preso quindi atto del valore della sussidiarietà a livello sia legislativo sia amministrativo, l’Autore si interroga sul risvolto pratico e quindi sull’effettiva prova dell’impossibilità di un’azione statale più efficace. A livello costituzionale tale verifica si rileva essere molto complessa e di per sé tendenzialmente favorevole all’intervento comunitario essendo questo legittimato anche solo dall’impossibilità d’azione di uno Stato; in atri termini la sussidiarietà sembra giocare a favore della Comunità. Diversamente avviene a livello amministrativo poiché, passando alla fase applicativa, non si necessita più di un’azione comunitaria estesa a tutti gli Stati: è possibile un intervento dell’Unione circoscritto solo ad alcune aree nazionali e così la sussidiarietà può fungere da freno all’attuazione amministrativa comunitaria.