Il nesso mancante tra aiuti di stato e sussidiarietà 

Gli aiuti finalizzati alla formazione dei dipendenti non vanno confusi con quelli volti a sostenree le spese di investimento

Il fatto

La commissione europea è intervenuta per giudicare la compatibilità dell’aiuto di stato che la Germania ha assicurato alla società DHL che intendeva aprire un nuovo centro operativo presso l’aeroporto di Lipsia. In particolare l’aiuto era finalizzato alla formazione dei dipendenti del nuovo centro e, più dettagliatamente, a 485 dei 15 nuovi dipendenti, impiegati in alcune specifiche mansioni. La Germania, in proposito, ha osservato che l’aiuto di stato rientrava nelle deroghe consentite dall’art. 87, p. 3, lett. c), in ragione del fatto che veniva sostenuta un’attività essenziale per lo sviluppo regionale che altrimenti l’impresa non avrebbe svolto. L’elevazione della formazione professionale avrebbe infatti un impatto significativo sul territorio, consentendone in prospettiva anche una maggiore capacità di sviluppo.
La commissione europea giunge tuttavia a una diversa conclusione. Pur riconoscendo che la Germania abbia rispettato le regole procedurali di notificazione degli aiuti, dubita che l’aiuto fosse davvero necessario. A tal proposito la commissione ricorda che, affinché un aiuto di stato sia considerato non alterativo della concorrenza, bisogna che esso non abbia effetti funzionali, ovvero non finisca per sostenere normali attività che un’impresa avrebbe comunque svolto. Nel caso specifico la commissione ritiene che l’aiuto finisca per agevolare un’impresa rispetto ai concorrenti, in ragione del fatto che il nuovo centro operativo, con riferimento alle qualifiche oggetto del procedimento, avrebbe comunque necessitato di un’attività di formazione a carico dell’impresa. Non risulta pertanto alcun valore aggiunto dall’aiuto per l’interesse generale, se non quello di alleviare in modo illegittimo i costi di avvio di una nuova attività da parte dell’impresa. Né la commissione accede all’idea che tale aiuto debba essere collocato all’interno di una zona particolarmente svantaggiosa che non avrebbe potuto godere del nuovo investimento senza tale aiuto dedicato alla formazione dei dipendenti, dal momento che la commissione distingue l’aiuto che incide sugli investimenti ed è tendente a valorizzare zone economicamente depresse da quello che invece è rivolto alla formazione dei dipendenti che ha una ricaduta diversa e molto più ampia.
Alla fine la commissione esclude dal divieto una parte minoritaria dell’aiuto alla formazione, riferita ad attività di formazione addizionale.

Il commento

La decisione in commento concerne ancora una volta la valenza da attribuire all’art. 87, p. 3, lett. c) del trattato della Comunità europea, che come è noto garantisce per determinate attività finalizzate a perseguire interessi comuni la deroga al divieto generale degli aiuti di stato. Peraltro oggetto di questa decisione è di nuovo la formazione dei dipendenti di un’impresa, esattamente come nel caso General Motors Belgium di Anversa, già commentato in questa rivista, che non a caso viene proprio citato dalla commissione nel corso della motivazione, ancorché, diversamente da quello, si tratti di un settore non automobilistico e di attivazione di un nuovo centro operativo, anziché di riconversione di uno già esistente.
In questo senso la decisione della commissione sembra in parte confermare l’impianto ricostruttivo della decisione precedente e in parte distanziarsi. La conferma dell’iter argomentativo può essere tratta innanzitutto dal rigore con cui la commissione valuta tali aiuti. Secondo la commissione gli aiuti non possono essere consentiti se non si dimostra in modo incontrovertibile che l’aiuto era necessario, ovvero che l’attività supportata non sarebbe stata sostenuta senza l’apporto del sussidio pubblico. Laddove tale dimostrazione non vi sia, la commissione vieta tali aiuti preoccupata di non alterare le condizioni di pari opportunità delle imprese.
Ribadisce inoltre l’indirizzo consolidato secondo cui gli aiuti funzionali non possono essere in alcun modo considerati legittimi. Dal momento che nel caso specifico l’impresa non avrebbe potuto cominciare la sua attività senza la formazione di alcune professionalità, vista anche la delicatezza di alcune operazioni, e dal momento che tale attività è disposta anche per obbligo di legge, l’aiuto si dimostra a tutti gli effetti illegittimo.
Interessante è anche la distinzione che la commissione opera tra aiuti concessi per la formazione e aiuti per lo sviluppo delle zone depresse: il primo sarebbe un sostegno alle ordinarie spese di gestione, il secondo un sostegno alle spese di investimento. La commissione non accede all’idea che l’investimento delle imprese possa dipendere dal costo per la formazione dei dipendenti, giungendo così a distinguere le due fattispecie: una, evidentemente, a valenza prettamente economica, l’altra non meglio precisata.
È proprio in questa omissione che la commissione sembra distanziarsi dal precedente caso ricordato: non è sufficientemente esplicita la commissione a riconoscere che la formazione dei dipendenti debba essere inclusa tra le attività speciali che servono per conseguire un interesse comune (degli stati membri e della Comunità europea) che è invece il motivo per cui questo indirizzo ermeneutico può essere considerato tra le esperienze di sussidiarietà. Diversamente dal caso General Motors Belgium di Anversa, la commissione non mette sufficientemente in risalto le ricadute che questi aiuti dovrebbero avere sugli interessi generali in termini di incremento del capitale umano quale fattore competitivo. Anzi, la parte degli aiuti che alla fine la commissione fa salva costituisce una quota che viene fatta rientrare tra gli aiuti addizionali che prescinde però da un’analisi sull’incidenza della produttività del paese; essa è ancorata a un’osservazione molto puntigliosa della disciplina prevista dall’ordinamento tedesco.
Non sarebbe la prima volta che la commissione su questa materia si appresta a modificare la propria posizione perché in passato è già avvenuto; in questo caso sarebbe davvero da rammaricarsi perché offuscherebbe una possibile chiave di lettura alternativa sulla regolazione dei rapporti economici in ambito comunitario, tanto più utile in una fase storica come l’attuale dove il mercato ha dimostrato gravi limiti.