Trasporto pubblico locale: una matassa da sbrogliare
Il 212 non è stato un anno idilliaco per i pendolari: un esercito di quasi 13 milioni di cittadini, di cui oltre un quarto fa del treno un mezzo essenziale per raggiungere il luogo di lavoro, rendendo il trasporto pubblico locale una materia di politica e amministrazione grave, urgente, prioritaria. Soprattutto se i casi di mala gestione del servizio si moltiplicano, investendo a macchia d’olio il Paese, aree economicamente avanzate e non, Nord e Sud, come confermato dal rapporto Pendolaria di Legambiente, diffuso a gennaio.Trenitalia ha l’8 per cento del mercato, il resto se lo dividono venti aziende locali. Crescono le Freccerosse , diminuiscono i tempi di percorrenza tra Roma e Milano, ma nell’universo parallelo i regionali sono sempre meno: 6.8 quelli di Trenitalia, il numero più basso degli ultimi dieci anni, che nel 212 hanno coperto 155 milioni di chilometri (-4,5% rispetto al 21).
Le ambiguità del nostro “117”: chi fa cosa?
A monte di tutto questo, forse, c’è un punto debole. E forse nel cuore stesso della nostra Costituzione, rinnovata quasi 12 anni fa: la materia del trasporto pubblico locale infatti non risulta espressamente considerata dal nuovo articolo 117 della Costituzione che ha profondamente modificato i criteri di ripartizione delle competenze tra Stato, regioni e autonomie locali: essa non figura né tra le materie rimesse alla competenza esclusiva dello Stato, di cui al secondo comma dell’articolo 117, né tra quelle di legislazione concorrente, di cui al terzo comma della disposizione costituzionale.Per quanto concerne invece la disciplina più in generale dei trasporti, il nuovo art. 117 individua tra le materie di legislazione concorrente l’ambito materiale delle ” grandi reti di trasporto e di navigazione ” e ” porti ed aeroporti civili ” , non risultando altri riferimenti diretti ai trasporti, e specificamente al trasporto pubblico locale. La materia sembrerebbe, pertanto, rientrare nell’ambito della competenza residuale delle regioni richiamata dall’articolo 117, quarto comma, in virtù del quale ” spetta alle Regioni la potestà legislativa con riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato ” . Peraltro, va segnalato che la materia dei trasporti presenta connessioni, sotto vari profili, con discipline che appaiono riconducibili a materie attribuite alla legislazione esclusiva dello Stato, tra le quali si ricordano in particolare ” tutela della concorrenza ” , per quanto attiene alle modalità di gestione e di affidamento del trasporto pubblico locale, ” ordine pubblico e sicurezza ” , ” determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ” , ” tutela dell’ambiente ” (cfr. art. 117, secondo comma, lett. h), m), s) Cost.).
Superare lo stallo: un’idea dalla Francia
Intanto, nella confusione su chi debba fare cosa, le disfunzioni persistono, su tutte i ritardi e le corse sovraffollate, che trasformano un viaggio in una gara ad ostacoli, con un impatto che pesa sulla qualità della vita. Poche settimane fa, dalla Francia, una proposta interessante per le nostre aree metropolitane, con qualche sbocco possibile. Precisamente nell’ “Ile-de-France” (la regione della capitale Parigi), alle cui imprese la Société nationale des chemins de fer franà§ais (Sncf) ha lanciato un’idea apparentemente rivoluzionaria: cambiare gli orari di lavoro per decongestionare quelli di punta. L’obiettivo sarebbe ridurre il volume passeggeri nelle fasce 6-1 e 16-2, che muovono ben 2 milioni di passeggeri al giorno, per dirottarne una parte su corse in cui i treni sono occupati per meno della metà . Un incentivo? La riduzione del «versement transport », la tassa che dal 1967 viene versata alla Stif, la Società dei Trasporti dell’Ile-de-France. L’idea è già stata sperimentata a Rennes, e con successo, splamando lo stesso numero di utenti su più corse. Il tutto in sinergia con l’ateneo locale, spostando semplicemente in avanti i corsi di un quarto d’ora, per ovviare al picco di frequentazione del metro che si verificava dalle 7.4 alle 8.
Gestire il tempo di lavoro in maniera condivisa: rischi e opporutnità
Chiaro che l’esperienza già collaudata e apprezzata dagli studenti, non sia di partenza replicabile con per persone che molto spesso sono genitori, con bambini che difficilmente potrebbero cambiare orario con i loro papà e le loro mamme: un “effetto domino” che andrebbe controllato, con una formula che va quindi adattata. “Come agire, dunque?” ci si è chiesti. Il motto dell’Ente transaplino sarebbe il cosiddetto “effetto farfalla”: spostare di pochi minuti gli orari, toccherebbe l’estrema sensibilità di un sistema complesso come quello dei trasporti, e produrrebbe grandi nel loro comportamento di tutti, migliorandone la situazione. Sono però due le grandi questioni chiamate in causa, e su cui occorrerebbe intervenire: la disciplina dell’orario di lavoro, dando modo alla domanda di spalmarsi sull’offerta disponibile, oppure un serio intervento sul trasporto ferroviario regionale inteso come servizio pubblico locale: un servizio, che come come campo di un servizio pubblico locale, è da un lato bene comune, perchè garantisce la convivenza civile e sociale, ma soprattutto diritti fra cui quello alla mobilità , dall’altra però si tratta di un’attività economica, in cui servono serii argini a situazioni di monopolio e oligopolio, sia pubblico che privato se possibile, con tutte le autorità e le serie regolamentazioni del caso. Sul secondo punto quindi la tematica è piuttosto complessa, ma concentriamoci sul primo: è possibile adattare l’orario di lavoro ad esigenze specifiche? Pur con modalità differenti, tutti i paesi dell’UE hanno attuato, negli ultimi anni, soprattutto a partire dalla Direttiva del Consiglio dell’UE 88/23, una generale flessibilizzazione della disciplina dell’orario di lavoro, anche acquisendo nei propri ordinamenti regolamentazioni particolarmente innovative, fra queste l’articolazione dei tempi di lavoro su base non settimanale o giornaliera, ma pluri o multi periodale, rispettando cioè una media di ore lavorate ma lungo un arco di tempo più lungo su cui distribuirle: qualcosa di simile in Italia è arrivato grazie all’art. 3, c. 2, del d.lgs. n. 66/23, che ha introdotto il nuovo metodo. E` necessario poi ricordare l’art. 8 del d.l. 138/211 (convertito in legge n. 148/211), che ha introdotto la possibilità di specifiche intese con la mediazione dei sindacati sul territorio, intese che entro i limiti del rispetto della Costituzione e delle normative comunitarie, possono anche derogare disposizioni di legge ed alle regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro. Disposizione, questa, che, almeno in termini potenziali, consente una notevole estensione della flessibilità dell’orario di lavoro. Il criterio chiave è quello del working time banking, per cui i lavoratori possono concretamente incidere nella determinazione del proprio orario di lavoro.
Insomma, una strada di condivisione che si potrebbe percorrere. Se lo si vorrà …