La natura degli interessi non pregiudica l'intervento delle fondazioni

L'art. 118, c. 4, cost. consente a soggetti privati, quali le fondazioni bancarie, di perseguire interessi generali complementari e integrativi di quelli affidati ai poteri pubblici.

La sentenza

Resta, in tal modo, superato il dubbio di violazione del principio di sussidiarietà  di cui all’art. 118, quarto comma, cost., che, anzi, risulta del tutto compatibile, oltre che con la natura privata delle fondazioni, con il riconoscimento che le stesse svolgono compiti di interesse generale.
La corte costituzionale, nel rigettare tale interpretazione e confermando dunque il carattere privatistico delle fondazioni, mette in rilievo invece che il perseguimento di interessi pubblici da parte di soggetti privati non è da considerare assolutamente un elemento eccentrico del nostro ordinamento e che, anzi, l’art. 118 cost. riconosce il valore positivo dell’attività  dei soggetti privati, singoli o associati, nell’assolvere compiti di interesse generale.
La posizione presa dal giudice costituzionale è importante perché sembra non consentire operazioni semplicistiche di trasformazione della natura dei soggetti di diritto in relazione alla sola mera constatazione della natura degli interessi che essi sono chiamati a soddisfare.
In questo senso il giudice costituzionale richiama correttamente l’art. 118, c. 4, cost. perché è proprio di questa norma il superamento del c.d. paradigma bipolare, secondo il quale gli interessi pubblici sono soddisfatti dai soli soggetti pubblici e quelli privati dai soli soggetti privati con relativa distinzione del regime giuridico di disciplina applicabile.

Il commento

In questa sentenza la corte costituzionale è chiamata a verificare la compatibilità  costituzionale delle disposizioni della finanziaria 22 che modificano la disciplina sulle fondazioni (d.lgs. n. 153 del 1999). In particolare, per ciò che concerne i profili di nostro interesse, si rileva che tali modifiche hanno riguardato le definizioni dei “settori ammessi” all’intervento delle fondazioni di origine bancaria all’interno dei quali le fondazioni possono concentrarsi su tre “settori rilevanti” per un periodo di tre anni.
L’obiettivo di queste norme è evidentemente quello di circoscrivere l’area di attività  delle fondazioni bancarie (altri limiti riguardano per esempio anche le aree territoriali di intervento) nell’intento di condizionare più fortemente l’uso del patrimonio “diffuso e popolare” delle fondazioni.
La sentenza assume rilievo perché il ricorrente osserva che la definizione dei “settori ammessi” e il loro collegamento con finalità  di interesse pubblico produce l’effetto di trasformare le fondazioni in enti pubblicistici, modificando in tal senso una giurisprudenza, anche della stessa corte costituzionale, consolidata.
Asserita questa posizione importante di carattere generale, la corte sembra sostenere implicitamente che sia possibile graduare gli interessi pubblici; essa sostiene infatti che l’interpretazione da privilegiare nella valutazione dei “settori ammessi” è quella di ricondurre a essi «quelle attività , socialmente rilevanti, diverse, pur se complementari e integrative, da quelle demandate ai pubblici poteri ».
In altre parole sembrerebbe possibile sostenere che tra le attività  di interesse generale ne esistono alcune intimamente connesse con l’attività  dei pubblici poteri, altre, complementari e integrative a queste, che possono essere svolte anche da soggetti privati come sono le fondazioni.