Il claim Lecce è il suo mare racconta la sfida dell’amministrazione di trasformare il litorale in un servizio ecosistemico per tutta la città, scommettendo sulla sostenibilità del progetto oltre il canale del finanziamento pubblico

A Lecce, con la volontà di “ricucire” la costa alla città, l’amministrazione comunale ha presentato alla regione Puglia Lecce è il suo mare, progetto per la rigenerazione del litorale finanziabile con i fondi del Programma Operativo Fesr-Fse Puglia 2014/2020, Asse XII “Sviluppo Urbano Sostenibile”. L’assessore alle Politiche urbanistiche e strategiche Rita Miglietta, già architetto, ci aiuta a capire come l’amministrazione abbia intercettato una progettualità locale, a partire dai laboratori di partecipazione per la progettazione come condivisione di idee che portino a soluzioni praticabili in un area vulnerabile per la sua marginalità sociale, economica e ambientale.

Torre Veneri

Intervista all’assessore Rita Miglietta

Il demanio costiero è un bene collettivo delle comunità locali. Sul tema del patrimonio costiero come bene comune cos’è cambiato rispetto al passato? Quali sono le azioni possibili sul “quartiere litorale” inteso come bene comune?

In prima istanza possiamo dire che certamente è cambiata la consapevolezza collettiva della costa come bene ambientale da tutelare. Una lunga stagione che abbiamo ormai alle spalle ha depositato sulla nostra costa, in ambiti estremamente vulnerabili, espansioni edilizie edificate spontaneamente a ridosso della spiaggia, senza pianificazione e senza un progetto di spazi e servizi pubblici garanti della qualità della vita delle persone. Piuttosto la costa si è frammentata in tanti spazi privati, definendo quelle che Bernardo Secchi e Paola Viganò, quando hanno studiato il Salento, hanno chiamato “spiagge di famiglia”: ciascuno costruiva la propria casa e il proprio giardino vicino al mare, con la conseguenza odierna che la fruizione e la percezione collettiva della spiaggia e il suo fragile equilibrio ambientale ne sono fortemente minati. Oggi invece si fa strada una maggiore consapevolezza che la spiaggia appartiene a tutti, e ciò, anche a valle di tante criticità determinate dai rischi cui sono sottoposti gli immobili a ridosso del mare, degrado edilizio, allagamenti, fenomeni di dissesto idrogeologico, che consolidano la percezione che la vulnerabilità del paesaggio ci riguarda tutti. In Puglia molto è stato fatto a livello normativo sugli usi demaniali, abbiamo una legge importante che stabilisce che il 60% delle spiagge di un comune costiero deve essere utilizzato a spiaggia pubblica, ma si fa fatica ad attuare il dispositivo normativo perché per un lungo periodo storico si sono consolidati usi diversi che hanno depositato sulla spiaggia manufatti di difficile trasformabilità, è un percorso molto lento ma siamo al lavoro; e poi c’è il Piano Paesaggistico Territoriale Regionale (PPTR), che ci da uno scenario strategico cui tendere e guarda alla costa come al più grande parco pubblico della Puglia, e la Regione oggi sta lavorando ad una legge sulla bellezza. Le persone oggi desiderano più spazi di condivisione. Stiamo lavorando per mettere in connessione la spiaggia libera con lo spazio pubblico per rafforzare entrambe, vogliamo intervenire ricucendo cesure, disegnando percorsi per la mobilità dolce che mettono in connessione spazi tra loro separati, partendo dai luoghi più importanti della nostra costa: le torri costiere, i beni culturali, i parchi e le aree naturali (sulla nostra costa insistono ben 5 Siti di Interesse Comunitario). Ma stiamo lavorando anche per diversificare gli usi demaniali, perché accanto ai tradizionali stabilimenti balneari, cresce la domanda di spiaggia libera, di usi ricreativi diversificati, ad esempio sportivi e in generale più a contatto con la natura. Ci sono poi azioni di mitigazione dell’erosione costiera, con interventi di ricostruzione delle dune. La strada è lunga, complessa e tortuosa, abbiamo appena iniziato, lavorando anche condividendo le scelte con i vari enti che operano nel nostro litorale, l’Università del Salento (che gestisce il SIC di Acquatina, il Ministero della Difesa, (un altro SIC, Torre veneri, dove insiste un Poligono di tiro) e il Consorzio di Bonifica Ugento Li Foggi, cui spetta la manutenzione dei sistema dei canali della bonifica di importanti tratti di litorale.

lecce gente

In un territorio in cui è mancata troppo a lungo qualsiasi attenzione dell’amministrazione pubblica quali sono stati i messaggi chiave e le proposte dei partecipanti ai laboratori maggiormente presi in considerazione? E quali sono state le loro reazioni nei confronti del progetto di riqualificazione del quartiere?

L’amministrazione aveva un gap da recuperare, l’assenza di politiche pubbliche ha generato una scarsa percezione del litorale come parte integrante della città, per questo abbiamo fortemente voluto che il progetto fosse accompagnato da un progetto di identità visiva (curato da Pazlab, ndr) per lavorare anche sull’immaginario collettivo. Sono stati individuati i simboli più forti della città, monumenti e luoghi importanti della città antica ad esempio, che sono stati associati a quelli delle marine, le torri, il faro e l’idrovora, questi simboli sono poi stati abbracciati dal claim Lecce è il suo mare, per recuperare una distanza, materiale e immateriale e rafforzare l’immagine della città come comune costiero. Il sindaco Salvemini ha fortemente voluto che un nuovo programma di trasformazione urbana fosse spiegato alla città in modo semplice, inclusivo e ricco. Abbiamo avuto una straordinaria partecipazione, abbiamo organizzato un tour di incontri pubblici nei luoghi della rigenerazione e diverse passeggiate di comunità, aprendo spazi spesso inaccessibili e scarsamente conosciuti, per rafforzare un senso di appartenenza della comunità ai luoghi e ribaltare l’immaginario collettivo. I cittadini hanno risposto con una ricchezza di proposte incredibile, alcuni hanno esposto le loro proposte con disegni e immagini, con loro abbiamo scambiato conoscenza, per condividere i problemi ed un programma di interventi. I cittadini hanno chiesto spazi e servizi pubblici primari, reti idriche e fognarie, luoghi di aggregazione, parchi e piazze, parcheggi, trasporto pubblico, interventi di valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici, decoro e pulizia, molti giovani ci hanno chiesto spazi per lo sport, esprimendo una forte domanda di usi demaniali per sport acquatici, insieme ad un desiderio: poter scommettere sul territorio immaginando un turismo sostenibile. Accanto alla domanda della comunità c’è stata poi quella dell’impresa balneare che chiede più servizi di trasporto e la valorizzazione degli spazi pubblici. Abbiamo avuto una straordinaria reazione positiva, penso che le persone hanno risposto perché abbiamo dato loro la possibilità di esprimersi dentro lo spazio pubblico, dentro quei luoghi che condividiamo, la dimostrazione che la partecipazione è possibile. Oggi abbiamo la responsabilità di rispondere a queste attese, lo faremo un passo alla volta, senza semplificazioni dal respiro corto. Prima di tutto sentivamo il dovere di mettere bene a fuoco queste attese mettendole in alto nell’agenda di governo, e intendiamo partire dalle risposte a quei temi che più di altri lavorano sul rafforzamento del senso di comunità.

La rigenerazione di un territorio attraverso l’individuazione di alcuni luoghi di confronto e di socialità, a cui è stato dato il nome di Fari di Comunità. Può spiegare la scelta (anche metaforica) di questo nome e le funzioni attribuite?

La domanda di luoghi di aggregazione è stata molto forte, nelle marine leccesi esistono diversi piccoli comitati, associazioni e pro loco, cittadini impegnati a condividere iniziative, manifestazioni ricreative e problemi, ma non hanno spazi adeguati e attrezzati dove poter aggregare più persone e far crescere il senso di comunità e appartenenza. La loro iniziativa deve poter arrivare a quei cittadini che delusi si ritirano dalla vita pubblica della condivisione, la maggior parte purtroppo, in un luogo della città che è stato per troppo tempo abbandonato. Nel momento in cui le amministrazioni hanno scarse capacità di manutenere e rispondere in modo capillare ai bisogni della collettività, e specie dove esistono scarsi spazi pubblici di intervento (nella costa leccese si è fortemente depauperato lo spazio pubblico), è necessario favorire la capacità di autodeterminazione della cittadinanza, per consolidare senso di appartenenza sentendosi e potendo essere cittadini attivi. A Spiaggia Bella e Torre Chianca piccoli gruppi di cittadini si scambiano sui gruppi whatsapp informazioni sullo stato di degrado del territorio, micro incendi, allagamenti, etc etc, a loro dobbiamo dare spazi fisici di aggregazione e progettazione. Stiamo ragionando sulla costruzione di manifestazioni di interesse (bandi) per l’acquisizione di spazi privati da dare in concessione per creare piccoli luoghi pubblici attrezzati da dare in cura agli abitanti, vogliamo ridefinire il rapporto della cittadinanza con il Parco di Rauccio o la cura delle spiagge, dobbiamo ridisegnare la mobilità allontanando le auto dalle dune costiere e vorremmo acquisire luoghi per creare una rete di parcheggi. I Fari di Comunità sono pertanto centri sociali dislocati in ogni marina della costa leccese dove creare iniziative collettive con funzione di guida verso l’individuazione di percorsi comuni da intraprendere mitigando le conflittualità.

“Prima di costruire un patto di collaborazione con i cittadini, la comunità deve acquisire e maturare il senso di responsabilità collettiva”

Il lavoro dell’amministrazione leccese mira a definire metodologie che guidino il processo urbanistico alla individuazione e attuazione di politiche e strategie progettuali per la realizzazione dei territori, in cui possano realizzarsi pienamente sia la qualità dei servizi e degli ‘attrezzi’ sia la dimensione relazionale, in modo che i territori si riapproprino delle loro identità e gli abitanti dei veri significati, del valore del senso di appartenenza e delle motivazioni ispiratrici per le attenzioni e la cura degli ambiti e degli ambienti di vita. Per disegnare un servizio relazionale per un nuovo welfare, che richiede l’emersione e l’individuazione della domanda, è necessario tenere conto anche del cambiamento dei bisogni di natura qualitativa, per questo l’amministrazione intende mettere a valore le buone pratiche già localmente esistenti e operare con scenari progettuali pensati considerando le qualità, presenti, dimenticate o a lungo nascoste, i bisogni inespressi, le conoscenze tacite di quelle comunità resilienti che aspettavano di essere ascoltate e che hanno trovato finalmente nell’ente pubblico un interlocutore attento e propulsivo.

Il Faro di San Cataldo

Il progetto che interessa l’area marina è solo la prima tappa di un viaggio della rigenerazione che prevede anche la redazione del Piano delle Coste e del Piano Urbanistico Generale – come anticipa l’assessore ora impegnata anche nella costruzione di un bando per il nuovo piano del verde pubblico che coinvolgerà i cittadini, alcuni dei quali potranno prendersi cura di alcuni parchi pubblici: sono germogli di amministrazione condivisa. Proprio in questa direzione l’assessore Rita Miglietta con l’assessore Antonella Agnoli sta lavorando al censimento dei beni patrimoniali e culturali pubblici, censimento che deve agganciare la rilevazione geografica dell’associazionismo locale e l’individuazione delle aree prioritarie di intervento per adottare un regolamento dei beni comuni, non omologato a modelli assunti altrove, ma “fondato sulle effettive esigenze della comunità e sull’indirizzo politico dell’amministrazione, perché è compito degli amministratori considerare e valutare le peculiarità territoriali e le dinamiche sociali, culturali e civiche della comunità locale”.
Miglietta aggiunge che “prima di costruire un patto di collaborazione con i cittadini, tutta la comunità deve acquisire e maturare quel senso di responsabilità collettiva”, indispensabile per la co-produzione di servizi che vede il coinvolgimento di più attori locali e per un possibile co-management di alcuni beni. Un’esperienza del tutto nuova per la città di Lecce, che vedrebbe coinvolta la società civile non solo nella fase consultiva della co-progettazione ma anche nella fase di gestione comunitaria di alcuni beni comuni, non trascurando che l’area del litorale riporta un tasso di disoccupazione pari al 13,5 % maggiore di quello comunale che si attesta al 9,8 %.
Il claim Lecce è il suo mare racconta la sfida dell’amministrazione di far diventare il litorale, oggi spazio di fruizione per alcuni, un servizio ecosistemico per tutta la città, scommettendo sulla sostenibilità del progetto oltre il canale del finanziamento pubblico. Un’esperienza virtuosa che utilizza gli strumenti urbanistici disponibili per individuare, tutelare e valorizzare le risorse, per progettare paesaggi di qualità, per governare il territorio costruendo capitale sociale.

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