La decisione della Corte Costituzionale, depositata in cancelleria lo scorso 17 dicembre, si riferisce all’articolo 14, comma 5 quater del testo unico sull’immigrazione così come modificato dal “pacchetto sicurezza” che ha introdotto il “reato di clandestinità” (legge 94 del 29). La norma, secondo la Consulta, non prende in considerazione l’impossibilità dello straniero di lasciare il Paese nonostante sia stato colpito da un decreto di espulsione o allontanamento. Il "giustificato motivo" si riferisce alle condizioni di estrema indigenza dell’immigrato che gli impedirebbero di ottemperare al decreto con i propri mezzi.
Il giudizio di legittimità costituzionale è stato sollevato dal Tribunale di Voghera che si è trovato a dover decidere delle sorti di una donna immigrata, che destinataria di un provvedimento di espulsione, non ha ottemperato all’obbligo. E’ stato scoperto al momento dell’arresto, infatti, che la donna si era ridotta a vivere in un sottoscala di un’abitazione in condizioni di estrema miseria che hanno portato subito il tribunale a sollevare la questione dinnanzi alla Consulta (nella foto la sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta).
Si legge nella sentenza, infatti, che è necessario “un ragionevole bilanciamento tra l’interesse pubblico all’osservanza dei provvedimenti dell’autorità, in tema di controllo dell’immigrazione illegale, e l’insopprimibile tutela della persona umana” (vedi sentenza in allegato). Per questi motivi viene bocciata la norma nella parte in cui non prevede un “giustificato motivo” che impedisce all’immigrato di adempiere al decreto (i.e. estrema indigenza, indisponibilità di un vettore o di un altro mezzo di trasporto idoneo, difficoltà nell’ottenimento di titoli di viaggio, ecc.).
La norma, ribadiscono i giudici costituzionali, deve fungere da “valvola di sicurezza” del meccanismo repressivo, avendo la legge stessa aumentato da quattro a cinque anni le pene per lo straniero colpito da decreto di espulsione dopo il mancato rispetto di un precedente ordine di allontanamento.
Nel caso di “giustificato motivo”, dunque, non è configurabile il reato secondo la Corte.