Rientrato nell’agenda politica internazionale e italiana, grazie al Trattato di Maastricht del 1992 (articolo 5) e alla Riforma del Titolo V della Costituzione (articolo 118 in particolare), il principio di sussidiarietà è una norma sociale e giuridica volta alla realizzazione di un benessere sociale che passa attraverso la relazione fra attori diversi: fra Stato, pubblica amministrazione, mercato e soggetti appartenenti alla società civile, come le realtà associative, famiglie e mondo delle organizzazioni di terzo settore o privato sociale.
L’implementazione del principio è complessa e diversificata, soprattutto nell’ambito delle politiche sociali. Diventa necessario allora un linguaggio comune per costruire un welfare che si prenda cura del benessere sociale di tutti i cittadini coinvolti, dal momento che il sistema politico amministrativo partecipa alla creazione del benessere sociale, ma non è l’unico attore responsabile della definizione degli interventi, della programmazione e della gestione delle politiche (oltre che della valutazione dei loro impatti sociali). Così, capire le specificità costitutive del principio di sussidiarietà è stata la riflessione della prima giornata, che ricca di interventi, si è focalizzata sui fondamenti antropologici, filosofici e costituzionali del principio.
Nei saluti di benvenuto, del Presidente della Fondazione per la sussidiarietà Giorgio Vittadini e del Pro Rettore Paola Monari, si è sottolineato come il principio sia un termine polisemico e spesso equivoco date le sue eterogenee radici collegate alla dottrina sociale della Chiesa, al federalismo e al liberalismo. Si è cercato di riflettere su un linguaggio comune, ossia su una semantica innovativa del principio. Soprattutto, si è puntualizzato come il principio sia connesso alla libertà. In questo senso si è messo in evidenza che il principio è connesso con la libertà, attraverso la quale si esprime il desiderio umano di autogoverno che le istituzioni pubbliche devono sostenere e tutelare nell’interesse generale.
Tuttavia, il principio di sussidiarietà non si realizza pienamente se non viene connesso anche al principio della solidarietà. Questo è stato un interessante aspetto dell’intervento di Pierpaolo Donati, in cui è emersa la relazionalità che costituisce il principio come regola di convivenza civile e di non prevaricazione dell’Altro. Se la sussidiarietà viene così pensata come un relazionarsi all’Altro in modo di aiutarlo a fare ciò che deve fare, vi è allora alla base un’antropologia positiva come contesto adeguato di attuazione del principio. La capacitazione dell’Altro e la “fioritura” delle attitudini prosociali dell’essere umano devono primeggiare come elementi nuovi nella costruzione del benessere sociale di una comunità. In questo modo la realizzazione del bene comune diventa una responsabilità, non solo dello Stato, ma anche delle formazioni sociali intermedie attraverso processi di bottom-up (realizzazione del bene comune attraverso movimenti di società civile che vanno dal basso verso l’alto), di top-down (realizzazione del bene comune attraverso processi che vanno dallo Stato verso la società civile), processi orizzontali e laterali fra organizzazioni civili che non dipendono né dallo Stato e né dal mercato.
La prospettiva giuridica sull’Europa, fornita in particolare dall’intervento di Marta Cartabia, ha ricordato una importante innovazione del trattato costituzionale europeo rispetto al ruolo dei parlamenti nazionali: il meccanismo dell’allarme preventivo – early warning system – per il rispetto del principio di sussidiarietà. I parlamenti nazionali sono abilitati ad inviare un parere motivato, indirizzandolo direttamente alle istituzioni comunitarie e successivamente alla Corte di giustizia. Tuttavia si è sottolineato come tale strumento sia privo di incisività in quanto le istituzioni coinvolte nel processo decisionale politico europeo si sono mostrate fino ad ora molto inclini a favorire interpretazioni estensive delle competenze europee per poter contare sul loro contributo per una reale applicazione del principio di sussidiarietà. Invece non ancora del tutto esplorati sono i rapporti tra sussidiarietà e diritti, il cui collegamento si può evincere dalla Carta europea dei diritti fondamentali: su questo versante l’applicazione del principio di sussidiarietà rischia di produrre effetti contrari a quelli normalmente riconosciuti, perché può andare nella direzione di comprimere le differenze culturali e ordinamentali degli stati nazionali.
Un altro interessante punto di vista sull’Europa è stato quello di Helmut Willke che ha descritto la governance complessa e il modello europeo della sussidiarietà. Il sociologo e giurista tedesco ha puntualizzato come di fronte alle dinamiche della globalizzazione e all’emergere di reti di politiche multi-level, sia fondamentale concettualizzare e capire il ruolo della sussidiarietà. In questa ottica la sussidiarietà (sia verticale che orizzontale) e il federalismo rappresentano strumenti complementari per una buona global governance in grado di coordinare i rapporti interdipendenti fra i sistemi e i sottosistemi sociali.
Nella seconda giornata sono stati invece approfonditi gli sviluppi europei del principio nel settore delle politiche sociali. Il panorama europeo è apparso quanto mai variegato. Gli interventi sono stati numerosi e significativamente rilevanti.
Tra gli altri, quello di Will Bartlett, che insegna alla School for policy studies di Bristol, ha illustrato le evoluzioni del sistema sanitario nazionale inglese. Pur nella complessità del sistema, il teorico inglese dei quasi-mercati ha mostrato l’alternanza di politiche sanitarie liberali e socialiste ad ogni nuovo governo negli ultimi quindici anni di riforme, concludendo con l’ingresso del principio di sussidiarietà nella riforma attuale del 28. Bartlett ha messo in evidenza che nell’ordinamento britannico la sussidiarietà è contrapposta alla solidarietà: mentre la prima implica un processo di devoluzione dei poteri, la solidarietà implica un accentramento.
Laura Cram, che insegna scienze politiche all’Università di Strathclyde, ha invece aperto il dibattito sulle nuove modalità di governance dell’Unione Europea. Nell’analisi dell’ultimo Trattato, ha sottolineato come il dialogo civile e il metodo aperto di coordinazione, costituiscano senza dubbio fondamentali mutamenti nella partecipazione per i cittadini europei. Rimangono tuttavia delle tecniche “leggere” di integrazione e collaborazione fra tutti gli attori coinvolti nella realizzazione di una policy comune.
L’intervento di Riccardo Prandini, che insegna sociologia della famiglia all’Università di Bologna, ha puntato l’attenzione sui servizi sociali di interesse generale in Europa attraverso una articolata comparazione fra i servizi per la prima infanzia della Germania, Gran Bretagna, Francia e Svezia. Date le particolarità emerse, possiamo comunque affermare che l’Europa, in generale, rimane in una cultura che non riconosce la semantica “sociale” della sussidiarietà, tanto approfondita nella prima giornata. Così l’attuazione del principio sembra prendere strade opposte: da un lato vengono implementate più politiche sussidiarie verticali (basate sul rispetto delle competenze) che politiche sussidiarie orizzontali (più organizzative e partecipative e basata sulla modernizzazione della governance dei servizi), dall’altro, tutto sembra rimanere coerente con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, che enuncia i diritti umani e di cittadinanza degli europei, dove la sussidiarietà è sempre menzionata in senso verticale: nel campo sociale ed in quello economico pare che esistano soltanto lo Stato ed il mercato.
Ivo Colozzi, docente di sociologia all’Università di Bologna, ha introdotto invece il caso italiano, approfondendo il contesto nazionale dopo l’introduzione della Legge 328/2 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) in cui vi è un richiamo al principio come criterio di distribuzione delle competenze in merito alla programmazione e alla gestione dei servizi (articolo 1, comma 3). E’ invece nell’articolo 5, comma 1, che il principio viene richiamato come criterio guida per la promozione delle azioni di sostegno e qualificazione del ruolo del terzo settore. Qui viene incrociata la dimensione della sussidiarietà verticale con quella orizzontale, sottolineata anche nell’articolo 6, comma 3, lettera a), dove si dichiara che i Comuni debbano promuovere risorse delle collettività locali nell’ambito del sistema locale dei servizi sociali a rete, risorse delle collettività locali tramite forme innovative di collaborazione per lo sviluppo di interventi di auto-aiuto e per favorire la reciprocità tra cittadini nell’ambito della vita comunitaria. Qui sembra aprirsi uno spazio per l’attuazione di una sussidiarietà realmente promozionale. Il richiamo a queste risorse della collettività viene fatto all’articolo 16, comma 1, in merito alla valorizzazione e al sostegno delle responsabilità familiari. Con la Riforma del Titolo V della Costituzione, quindi, viene fatto un passo in avanti. L’articolo 118, ultimo comma della Costituzione dichiara che: tutti i soggetti pubblici debbono favorire “l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”. Questa norma modifica radicalmente il rapporto fra i poteri pubblici e i cittadini. Qui è stato puntualizzato come l’interpretazione del principio possa essere soggetto a varie letture, sebbene il principio sia entrato formalmente fra i principi ispiratori dell’ordinamento italiano. La valutazione generale ha evidenziato varie modalità di implementazione del principio che vanno dalla sussidiarietà come esternalizzazione dei servizi alla sussidiarietà come valorizzazione delle iniziative della società civile. In altre parole, in Italia pare prevalere una semantica della sussidiarietà che Colozzi ha chiamato neo-socialdemocratica o istituzionale, dove il contributo alla gestione della res publica da parte dei soggetti privati (in particolare quelli che appartengono al Terzo Settore) consiste nell’ integrare le prestazioni dei servizi pubblici in termini di una maggiore efficienza ed efficacia rispetto al servizio erogato. Per evitare gli effetti perversi di questa sussidiarietà “rovesciata”, lo Stato dovrebbe promuovere e regolare il Terzo Settore come catalizzatore di quelle risorse umane e sociali che concorrono alla realizzazione di un benessere sociale fondamentale per la buona qualità di vita che ogni cittadino desidera.
Nelle conclusioni del seminario il Professor Donati ha sottolineato come le società attuali stiano andando verso nuove semantiche della sussidiarietà (laterale, circolare, orizzontale, relazionale), in cui i concetti si differenziano e dove è necessario creare degli indicatori di operatività del principio, utili a orientarsi nel dibattito e a valutare politiche sociali realmente sussidiarie. In particolare, la semantica della sussidiarietà circolare è apparsa come ambigua nella discussione. La circolarità appare una forma ricorsiva di relazione fra i soggetti coinvolti in cui non si distingue facilmente “chi fa che cosa” e la sequenza stessa della relazione. Per questo sarebbe più opportuno parlare più di reciprocità che di sussidiarietà. Come dimostrano le conclusioni del seminario, il dibattito è più che mai aperto e pieno di stimoli per continuare a scrivere e a studiare la relazionalità del principio dal punto di vista filosofico, giuridico e sociologico.