Un punto di riferimento in ambito di riuso di spazi abbandonati

“Scendi, siamo INgiardino” è l’invito alla rassegna estiva organizzata da INstabile Portazza, un’associazione informale di cittadini impegnata, da qualche anno, in un’opera di rigenerazione e riuso di un immobile abbandonato in un quartiere popolare di Bologna. La rassegna è solo l’ultima delle tante iniziative realizzate per “piantare un seme di urbanità in un terreno fertile, ma mai coltivato”.
Lo stabile è l’ex Centro civico di Villaggio Portazza, il complesso del quartiere Ina Casa. Costruito nel 1962 per favorire la socializzazione e la condivisione fra gli assegnatari degli alloggi, non è mai stato utilizzato con quel fine ma solo per ospitare, in seguito, una scuola elementare ed essere definitivamente chiuso nel 1984.

I protagonisti sono gli abitanti del quartiere

Si sono conosciuti grazie alla Social Street Portazza e si sono attivati per capire come recuperare l’immobile. È una storia che parte dalla riscoperta dei rapporti di vicinato, dei legami sociali, del senso di appartenenza che una volta liberato porta inevitabilmente a considerare raggiungibili obiettivi che magari, da soli, nemmeno si riuscivano ad immaginare. E quello sguardo nuovo e collettivo sul quartiere ha incrociato da subito quello dell’Associazione Pro.Muovo, che ha offerto il proprio supporto insieme all’Associazione Architetti di Strada.
La strategia utilizzata un laboratorio partecipato di co-design, avviato grazie alle risorse del bando “Centro anch’io” di Coop Adriatica e durato sei mesi, a cui hanno partecipato 200 abitanti e 30 organizzazioni per ripensare uno spazio al futuro e, allo stesso tempo, recuperarne la funzione originaria di supporto alla comunità.

Come può essere possibile accedere allo stabile? Come incrociare una progettualità nata dal basso con gli ostacoli di ordine burocratico che, di fatto, hanno reso l’ex Centro Civico un immobile dimenticato e, quasi sicuramente, destinato all’abbattimento a causa dell’incuria e dell’abbandono? È qui che entra in scena il patto di collaborazione.
Il patto, lo ripetiamo spesso, è uno strumento che consente, in applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale, di impostare tra le istituzioni, i cittadini e soggetti di diversa natura rapporti basati sulla collaborazione e la condivisione invece che sulla contrapposizione e la conflittualità. È la relazione l’essenza di un patto di collaborazione! Quasi sempre è il patto stesso che alimenta e ri-crea legami sociali, in questo caso, invece, si è rivelato necessario alla comunità che si stava ritrovando intorno ad un progetto di ri-uso di uno spazio ritenuto importante per il quartiere (e non solo), per impostare con l’ente proprietario dell’immobile una relazione basata sulla fiducia. L’ex Centro Civico, infatti, è di proprietà dell’ACER-l’Azienda Casa Emilia Romagna, un ente pubblico economico.

Il patto come ecosistema relazionale

Il patto di collaborazione è stato sottoscritto dall’ACER, dal Comune di Bologna-Quartiere Savena e dall’Associazione Pro.Muovo. Leonardo Tedeschi, di InStabile Portazza, ne dà una bella definizione “il patto costituisce un ecosistema relazionale tra soggetti diversi, lo strumento intorno al quale si è costruita la collaborazione”. Secondo Tedeschi si è rivelato “indispensabile, non tanto come meccanismo amministrativo, ma come costruzione di un rapporto di fiducia su base relazionale. In questo processo il ruolo del Comune è stato essenziale, un ruolo di garanzia non formale ma di contenuto”.
L’oggetto della proposta, nella sua fase sperimentale, riguarda l’utilizzo di una porzione di circa 181mq dell’immobile; l’esecuzione dei lavori di recupero da realizzare in circa 5 anni; la realizzazione di attività associative e culturali; l’utilizzo del giardino attraverso lavori di arredo e progetti di autocostruzione per attività dedicate ai giovani e agli adulti. In prospettiva è previsto l’utilizzo e il recupero dell’intero immobile per la creazione di co-working, start-up culturali e laboratori di varia natura.

Il valore dell’aggregazione passa attraverso l’autocostruzione

I termini e i modi d’uso dello stabile sono definiti in un comodato d’uso modale della durata di otto anni, un contratto che accompagna il patto e permette di utilizzare l’edificio i cambio delle opere di recupero dello stesso. I lavori sono realizzati in auto-costruzione e sottoposti a verifica da parte di ACER. Il comodato, in questo caso specifico, si inserisce appieno nel processo relazionale costruito attraverso il patto perché “grazie alla mediazione del Comune” ci dice ancora Leonardo Tedeschi. I lavori edili si avvalgono, per quanto riguarda la progettazione, degli architetti coinvolti nel progetto; per le maestranze, degli abitanti del quartiere. I costi sono dunque rappresentati dai materiali che si cerca di contenere attraverso eventi di autofinanziamenti e sponsor tecnici.
INstabile Portazza rappresenta un modello concreto di relazione sussidiaria, irrealizzabile secondo gli schemi classici del paradigma bipolare. Concetti quali fiducia e corresponsabilità, attivazione delle risorse di una comunità, riconoscimento delle opere realizzate attraverso lavori di auto-recupero, appaiono naturali solo se inserite nella cornice di un patto di collaborazione.

Il futuro di Villaggio Portazza

Questi però sono giorni inquieti, i rappresentanti dell’amministrazione comunale e di ACER hanno informato la comunità che lo stabile dovrà essere liberato dopo l’estate per avviare i lavori di ristrutturazione previsti dal Programma Operativo Nazionale “Città Metropolitane 2014 – 2020” (PON-Metro), che coinvolgeranno l’intero edificio. Si sta cercando una soluzione provvisoria per la durata dei lavori in un altro immobile sempre di proprietà di ACER ma ancora nulla è stato definito. Vogliamo sperare che la disponibilità del Comune e di ACER non verrà meno per consentire la prosecuzione, senza traumatiche interruzioni, di un’esperienza che rappresenta un punto di riferimento nel Paese sui temi del riuso degli spazi abbandonati e della rigenerazione delle periferie.