Il campanello d'allarme lo lancia Micheli

Tra le cause, troppa burocrazia e pocha voglia di cambiare

Micheli, rientrato in Italia dall’Inghilterra, dove oltre ad insegnare Analisi delle politiche pubbliche all’università di Cranfield, è membro di una commissione simile al Civit, ha rassegnato le sue dimissioni con una lettera inviata al ministro Brunetta. Nella missiva si legge il rammarico del professore che tanto aveva creduto nell’innovativo progetto del veneziano ministro, dice infatti “dopo un anno di lavoro non ci sono più i presupposti per continuare”.

Sebbene la riforma sia partita con dei buoni risultati, continua Micheli, gli adempimenti burocratici contro i quali la riforma stessa si è scontrata rischiano di annullare tutto il lavoro sino ad ora fatto. Se non c’è una buona organizzazione dietro – continua l’esperto – nessuna valutazione individuale potrà produrre buoni risultati.Anche la lotta all’assenteismo, parte della riforma maggiormente riportata dai media, ha subito una pesante critica. Infatti se gli assenteisti, o “fannulloni” come ama definirli Brunetta, sono diminuiti, è diminuita tra loro anche quella sensazione di appartenenza alla pubblica amministrazione, questo a causa della cattiva reputazione attribuitagli.

E sarà dura – continua Micheli – ristabilire nel personale pubblico la motivazione per dare il meglio di se nel proprio compito.

Le cause del fallimento

I motivi principali del contrasto, riguardano l’organizzazione, i finanziamenti e l’indipendenza della Civit stessa, si chiede sconcertato, l’ormai ex componente, come si può portare avanti una riforma se la commissione che ci lavora non ha poteri ispettivi e sanzionatori? E come si spiega il fatto che ci sia stata un’auto esclusione sia della Presidenza del Consiglio dei Ministri che del Ministero dell’Economia e delle Finanze? Inoltre come può un organismo definirsi indipendente quando è il Governo a riservarsi il potere di determinare nomine, compensi e ambiti di intervento?

Naturalmente non è mancata la replica da parte degli altri componenti della Commissione, che tempestivamente hanno inviato una lettera al direttore de la Repubblica, Ezio Mauro, dove esternano il loro punto di vista sulla questione.

In sintesi dicono che per attuare una tale riforma ci vuole molto tempo, e non basta, arrivare dall’estero convinti di poter cambiare il mondo in pochissimo tempo. Ed inoltre, scrivono “lavorare nelle amministrazioni pubbliche richiede conoscenza delle regole e dell’architettura giuridico – istituzionale , e in particolare richiede una approfondita conoscenza delle pubbliche amministrazioni italiane”.

Insomma quasi vogliono ricordare a Micheli, che pure ha provato a riportare il suo cervello in Italia, che il nostro sistema evidentemente non è ancora pronto ad accogliere quei cervelli che si permettono il lusso di volerlo cambiare, e per di più in poco tempo.