Facilitare l’integrazione tra residenti e nuovi abitanti del territorio, contrastare eventuali fenomeni di intolleranza promuovendo la conoscenza reciproca tra migranti e non, migliorare il decoro urbano e rafforzare la sinergia tra le istituzioni e i soggetti privati: sono questi i principali obiettivi del patto di collaborazione firmato a Cortona (AR) tra il Comune, la Provincia di Arezzo, l’ARCI Comitato Regionale Toscano e i soggetti gestori dei CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria) che sono la Cooperativa l’Isola che non c’è, l’Associazione SICHEM e la Cooperativa l’Aurora.
Una rete numerosa di soggetti, dunque, ha sottoscritto il patto in questione che vede come protagonista — succede raramente — un ente sovracomunale, appunto la Provincia di Arezzo, e che mira alla collaborazione con diverse associazioni del territorio che potranno aggiungersi in un momento successivo, testimoniando la natura inclusiva del patto di collaborazione.
Quali attività per l’integrazione
Non è la prima volta che si utilizza un patto di collaborazione per favorire l’integrazione tra cittadini locali e stranieri. A Cortona, le attività che vengono svolte hanno finalità di sensibilizzazione verso la cittadinanza, attraverso gli incontri con gli studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado, e di cura del verde, come ad esempio la pulizia di giardini, piazze, strade e vicoli, attività che vanno ad aggiungersi alla più generale tutela ambientale del territorio.
Per realizzare ciò, il patto prevede la presenza di un Gruppo di Lavoro Permanente — da convocare almeno una volta ogni due mesi — che ha il compito di programmare le attività di volontariato, condividere i progetti e i percorsi di integrazione e monitorare l’andamento delle attività. Esso è composto dai soggetti proponenti o eventuali delegati che saranno affiancati dal personale dell’Amministrazione, eventuali tecnici e soggetti ritenuti funzionali all’organizzazione delle attività.
Gli interventi, nello specifico, riguarderanno: la tutela igienica, come ad esempio la raccolta dei rifiuti e lo svuotamento dei cestini presenti in città; la manutenzione e la cura del verde; percorsi di “InFormazione” da tenere nelle scuole.
Per capirne di più, abbiamo sentito l’Assessore alle Politiche sociali, all’Ambiente e allo Sport, Andrea Bernardini, e rivolto a lui qualche domanda.
Leggendo il patto, il primo elemento evidente è il coinvolgimento di tanti soggetti diversi tra loro. Come si costruisce una collaborazione così multiforme?
Nel nostro Comune, ormai da molti anni, grazie all’istituzione del Laboratorio della Città Possibile, abbiamo organizzato gruppi di lavoro costituiti da soggetti diversi, come operatori del Comune, ASL, insegnanti, cooperative, associazioni. Abbiamo voluto considerare la comunità non solo come destinataria di interventi ma anche come depositaria di risorse in grado di prendersi cura della saluta in quanto bene comune e, quindi, nelle sue implicazioni sociali, educative e relazionali. Da qui si è formato anche il gruppo “Reti in Rete, integrazione delle risorse per il benessere della comunità”, all’interno del quale abbiamo organizzato incontri con i soggetti gestori dei CAS e del progetto SPRAR (Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati, ndr), la Provincia e gli altri soggetti aderenti al patto, condividendo il percorso di co-progettazione anche con i migranti.
Nel patto viene presa in considerazione una serie di atti deliberativi della Regione Toscana e protocolli nazionali che hanno come oggetto temi quali l’accoglienza e l’integrazione di cittadini stranieri. Dunque, patti di collaborazione come esperimenti di attuazione delle politiche integrative. Crede sia una soluzione replicabile in altri contesti e in altri comuni?
Sicuramente si può esportare. Non ci sono costi per il Comune, sono necessari soltanto impegno e tempo dedicato dall’Assessore e dagli operatori competenti.
I migranti che partecipano al patto non lo sottoscrivono in prima persona, bensì aderiscono a una delle associazioni coinvolte. Quanti sono i cittadini stranieri attivi? Le azioni di cura di cui si occupano vengono attuate con il coinvolgimento dei cittadini locali?
Il patto è firmato dai soggetti gestori dei CAS e SPRAR, ma i migranti volontari firmano il patto di volontariato, che va a indicare la sede in cui avvengono gli interventi, l’orario, etc… È stato consegnato a ognuno di loro un registro delle presenze, perché con un minimo di 30 ore – alcuni hanno superato le 40 ore – riceveranno un attestato. I migranti attivi sono circa trenta e nei mesi di luglio e agosto hanno operato complessivamente per un totale di 899 ore di volontariato. Occupandosi principalmente di pulizie di giardini, strade, attività al canile comunale e traslochi nelle scuole, collaborano con i volontari del canile, dell’associazione AUSER e con gli operatori del Comune. Inoltre, sono seguiti da un tutor di una cooperativa di tipo B (finalizzata all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, ndr) che insegna loro le varie attività da svolgere e segna le presenze. Prima dell’inizio delle attività, sono stati organizzati due incontri per spiegare loro il significato di questo percorso e il funzionamento della raccolta differenziata per i rifiuti.
Il patto è caratterizzato dalla cura di beni materiali (come giardini, strade, etc.) e, soprattutto, di beni immateriali (appunto accoglienza, integrazione, scambio interculturale, etc). Quali risultati sono stati raggiunti finora? Quali sono i risultati attesi e i risultati raggiunti dall’incontro con gli studenti nelle scuole?
Sono stati effettuati numerosi incontri con classi di due istituti superiori del comune di Cortona nel periodo febbraio – maggio 2018. Il progetto prevedeva percorsi da due o tre incontri per classe, all’interno dei quali abbiamo inizialmente inquadrato la situazione migratoria attuale, facendo particolarmente leva sui pregiudizi e la disinformazione che troppo spesso si accompagna a questo tema e approfondendo le questioni giuridiche della protezione internazionale e le dinamiche legate all’accoglienza. In un secondo momento abbiamo portato in aula la testimonianza del viaggio di un beneficiario del nostro progetto, dall’abbandono del Paese d’origine, all’attraversamento del deserto, alla detenzione libica fino al viaggio in mare e all’approdo in Italia. Hanno partecipato circa 300 studenti. Sono stati percorsi molto intensi e partecipati, grazie alla dinamicità degli incontri, molto interattivi, e durante i quali gli studenti sono stati coinvolti e invitati a partecipare e a soddisfare ogni tipo di curiosità. Si è sempre creato un ottimo e sorprendente clima di interesse per l’argomento, molti pregiudizi sono stati superati e soprattutto si è creata una forte empatia tra gli studenti e i migranti che raccontavano le loro storie. Una rappresentanza dell’Istituto Vegni, una delle due scuole coinvolte, è stata anche invitata a un’iniziativa della Provincia di Arezzo per testimoniare il lavoro svolto in aula e durante la quale sono stati consegnati degli attestati. In generale possiamo dire che l’efficacia di momenti di incontro tra le persone che vivono nello stesso territorio, mediato da soggetti che conoscono a fondo le dinamiche di migrazioni e accoglienza, è molto stata davvero significativa. Si abbattono barriere culturali soltanto attraverso la conoscenza dei fenomeni e attraverso la conoscenza delle persone. Quelle barriere culturali troppo spesso innalzate da media e social network e che la scuola ha il dovere di affrontare.
ALLEGATI (1):
Patto “PartecipAzione dei migranti alla cura del bene comune”