Non coincide necessariamente con la giustizia, né con gli interessi generali. La legalità è un prodotto della socialità

Negli ultimi mesi c’è stato nel paese un vivace dibattito sulla legalità, con riferimento in particolare alle scelte o alle dichiarazioni di alcuni sindaci di disattendere provvedimenti legislativi per tutelare persone che si trovano in precarie condizioni sociali e civili. Sono legali le scelte del sindaco di Riace che affida alcuni servizi municipali a immigrati in deroga alle leggi al fine di consentire la loro integrazione nella comunità? Sarebbe legittima la scelta del comune di Palermo di agire sulle iscrizioni all’anagrafe dei cittadini per garantire loro servizi che la nuova legge sulla sicurezza escluderebbe? Improvvisamente si scopre che un concetto di senso comune, come quello di legalità, si rivela fragile, plurale nei significati e inidoneo a mettere d’accordo comunità di persone. Perché? Che cos’è veramente la legalità?
Un primo significato, quello che appare più evidente, è che la legalità esiga la conformità alla legge da parte di tutti. Si tratta di un principio importante perché la legge esprime le regole per ordinare la convivenza civile e sociale; senza un fulcro unitario e riconosciuto, la convivenza si misurerebbe in termini di prevaricazione. Una convivenza non regolata da leggi difficilmente saprebbe assicurare una comunità pacifica e sicuramente sarebbe regolata dalla forza.

Ma è solo la legge a esprimere un ordine alla convivenza?

Sappiamo, ad esempio, che i comportamenti e le scelte degli uomini sono condizionati anche da altri valori e principi, quali l’etica, le convinzioni religiose, i valori individuali. Pertanto, la legge convive in concorrenza con altri principi di riferimento, anche se privi di valore giuridico. Non finisce qui, però. Nel nostro ordinamento la legalità può essere di più livelli: esiste una legalità ordinaria che convive con la legalità costituzionale e non è detto che queste due forme di legalità siano sintoniche. Nel nostro paese, ad esempio, se una legge è contraria a costituzione è soggetta a un giudizio di invalidità, perché la legalità costituzionale è gerarchicamente superiore alla legalità ordinaria. Inoltre, questo è talmente vero che su tutti ricade l’onere di osservare la legalità costituzionale a prescindere dal fatto che questa trovi consacrazione in leggi ordinarie. C’è perfino una legalità ulteriore che è quella europea, anch’essa prevalente sulla legalità ordinaria. Se, cioè, vi è un principio costituzionale o un diritto costituzionale o un principio europeo o un diritto di derivazione europea privo degli strumenti legislativi che lo applicano, ciò non esenta nessuno dall’osservarli direttamente.
Il problema della pluralità delle forme di legalità non è legato esclusivamente all’eccezionalità storica delle costituzioni, che si sono affermate negli ultimi due secoli: in realtà, le regole giuridiche si compongono anche di tante altre fonti: i regolamenti, gli statuti, i trattati, le convenzioni, le direttive ecc. Ognuna di queste fonti presenta una forza diversa, ma tutte concorrono a corredare quel complesso e denso sistema di regole che disciplina la nostra convivenza. La legge, dunque, non è che una delle fonti delle regole. È importante perché è il prodotto delle assemblee elette, ma non è l’unica, né è gerarchicamente la più importante. Ecco, dunque, che quando un sindaco si trova ad amministrare una comunità, deve far riferimento a una pluralità di fonti e di ordini; questo spiega perché possa essere messo in discussione cosa sia davvero legale.

Il concetto di giustizia è più complesso di quello di legalità

Un altro significato che può essere dato alla legalità, che discende dal primo citato, è quello di giustizia. Se la legalità è il sistema formale che assicura la convivenza ordinata, si suppone che essa coincida anche con la giustizia. In realtà, il concetto di giustizia è più complesso di quello di legalità. La giustizia si compone di giudizi in cui la formalità, che è il contributo della legalità alla giustizia, è solo uno degli aspetti. Nelle valutazioni giudicanti conta anche l’interpretazione dei fatti, l’equivalenza tra ciò che è previsto e ciò che non lo è, la distribuzione degli oneri in base alle possibilità, l’equità o la giustizia distributiva. D’altra parte la stessa legge, anche se è il prodotto di assemblee liberamente elette, è pur sempre esercizio di forza e, in quanto tale, il frutto di un equilibrio che può prevedere la prevalenza di alcuni interessi e la soccombenza di altri. Se anche le leggi producono vincitori e vinti, è facile credere che i vinti non considerino “giusta” la legge, anche se del tutto valida. Se, dunque, la legalità non mette d’accordo tutti, è perché il significato di giustizia è molto più ampio della legalità.

Gli interessi generali non coincidono con gli interessi pubblici

Infine, la legalità sovrintende l’attività degli apparati amministrativi e quindi si presume coincida con gli interessi pubblici. La legge, infatti, non è solo finalizzata a definire gli ambiti entro cui si possono esercitare le libertà, ma è anche la principale fonte di riferimento per l’azione delle pubbliche amministrazioni per la tutela degli interessi pubblici e della collettività. Ma anche da questa prospettiva emerge una lettura non univoca della legalità. Infatti, è risaputo che gli interessi pubblici sono molteplici e spesso sono perfino tra loro confliggenti: un esempio classico è quello che si verifica tra promozione del lavoro e tutela dell’ambiente. Il fatto che le amministrazioni siano chiamate a perseguire i fini della legge non significa che ciò produca una naturale armonia degli interessi pubblici. Peraltro, si tratta di un esito possibile non solo tra amministrazioni diverse ma anche all’interno di una stessa amministrazione. Un’amministrazione a competenza generale, per esempio, che è cioè chiamata a tutelare più interessi pubblici, potrebbe avere lo stesso problema dentro la sua organizzazione tra più uffici e organi. Peraltro, se è vero che gli interessi pubblici sono determinati per legge, non è vero che gli interessi generali coincidono con gli interessi pubblici. È riconosciuta anche ai soggetti della società civile la capacità di autorganizzarsi per perseguire finalità che superano quelle dello specifico gruppo che si è attivato. Anche se tecnicamente tali interessi non sono pubblici perché i cittadini non si attivano per adempiere a obblighi di legge, l’estensione degli interessi protetti è la stessa e indirettamente questi soggetti contribuiscono a dare agli interessi pubblici specifici contenuti. In altri termini, la legge non è più l’esclusivo riferimento per dare contenuto agli interessi pubblici.

Legalità e sussidiarietà orizzontale

In conclusione possiamo dire che la legalità è plurale, non coincide necessariamente né con la giustizia, né con gli interessi generali. Essa è certamente un valore importante, ma bisogna guardare con preoccupazione chi vuole consegnare a questo concetto una lettura univoca. La legalità è certamente espressione di forma, ma questa sua oggettivazione non esaurisce tutti gli spazi del diritto: perché esistono altre forme diverse dalla legge che sono ugualmente da osservare, perché la legalità può produrre anche ingiustizia e perché ci può essere un ordine giuridicamente valido anche al di fuori della legalità formale.
La legittimazione delle esperienze sociali di autorganizzazione per interessi generali che derivano, ad esempio, dal Regolamento dei beni comuni urbani, ci ricorda che esistono spazi dentro i quali si possono trovare altre regole di convivenza che non coincidono necessariamente con la legalità formale senza che questo sfoci necessariamente nell’illiceità. Questi regolamenti non hanno alle spalle norme legislative cui dare applicazione, eppure sono pienamente legali perché corrispondenti a due principi scolpiti nella costituzione: l’autonomia regolamentare che spetta ai comuni in quanto enti di rappresentanza degli interessi di una comunità e il principio di sussidiarietà. Così come non stupisce che il giudice abbia dato forza e legittimazione a esperienze sociali di fatto che, pur prive di legittimazione legislativa, hanno assunto una forza legale induttiva perché hanno avuto, sia pure transitoriamente, una legittimazione postuma che ne ha cambiato la natura (cfr. Corte dei conti, Lazio, sent. 77/2017), perché chi era titolare dei diritti affermati per legge è rimasto inerte legittimando l’esperienza sociale (Cassazione, 10 agosto 2018, n. 38483), perché contrapporre a un’esperienza di sicuro valore sociale un generico interesse pubblico alternativo senza che sia verificato in concreto non merita sostegno (cfr. tar Veneto, 8 marzo 2018, n. 273), perché sono molteplici le esperienze in ambito culturale che testimoniano proprio il valore di queste esperienze (cfr. articolo di Battelli su questa rivista).
È per questo che quando si dibatte su cosa sia la legalità bisogna affrontare questa discussione con rigore, ma anche con consapevolezza che di essa non esiste un’univoca interpretazione: se qualcuno lo sostiene, sta probabilmente solo cercando di imporre il suo modo di vedere la legalità. È vero che la legalità offre un ordine alla socialità, ma è anche vero che la legalità è un prodotto della socialità ed è questa duplice interdipendenza che non dovrebbe essere mai dimenticata per fare in modo che legalità, diritto e giustizia siano concetti convergenti.

Foto in copertina di Søren Astrup Jørgensen su Unsplash