Il Regolamento dei beni comuni può essere emendato per accogliere pratiche diverse come gli usi civici? Un resoconto dalla recente Assemblea della Rete Nazionale Beni Comuni

Nel contesto dei festeggiamenti per il quinto compleanno di Mondeggi Bene Comune, il 29 giugno scorso si è riunita l’Assemblea della Rete Nazionale Beni Comuni presso la fattoria occupata. Durante i tre giorni di attività ed eventi si sono svolti due tavoli di discussione dedicati alla crescita della Rete e alle nuove opportunità e sfide che ne derivano, completando così il ciclo di incontri avviato il 22 giugno con l’assemblea della Rete a Casa Bettola (Reggio Emilia).
I tavoli di confronto, coordinati da Maria Francesca De Tullio, hanno coinvolto punti di vista diversi, provenienti da esperienze in tema di beni comuni di grande rilevanza a livello nazionale. Fra i molti importanti argomenti affrontati si è anche discusso del rapporto fra le attività della Rete, le esigenze e le caratteristiche delle singole esperienze sul territorio, e l’attività di LABSUS. L’interrogativo preliminare a base della discussione ha riguardato le caratteristiche e i limiti del prototipo di Regolamento ideato da LABSUS per la gestione condivisa dei beni comuni.

Occupazioni e Regolamento dei beni comuni

Si è riflettuto, in particolare, sulla necessità di una modifica idonea a tutelare quei beni comuni la cui amministrazione, da parte della cittadinanza attiva, non segue il suo riconoscimento per essere stata – per così dire – legittimata dall’autorità pubblica, ma è piuttosto frutto diretto e conseguenza di una mobilitazione spontanea della comunità.
Il tema chiave in tal senso è quello degli immobili pubblici occupati e gestiti, come beni comuni emergenti, dalle collettività attivatesi. L’interazione di queste realtà con i competenti enti territoriali, si è spesso sviluppata in modo assai conflittuale: intento specifico della Rete, a questo proposito, è allora anche quello di garantire che il mezzo dei Regolamenti sui beni comuni non diventi una tecnica utilizzata per imbrigliare o disinnescare questi fenomeni di mobilitazione civica collettiva. Questo tipo di strumento ha, invece, la potenzialità di fornire una preziosa cornice normativa all’interno della quale queste esperienze possano essere riconosciute e assistite nelle loro finalità di solidarietà sociale e di valorizzazione e tutela del patrimonio pubblico italiano.

Le proposte di modifica da parte della Rete

Con riferimento a questo obiettivo, il progetto della Rete ha individuato nell’emendamento dei Regolamenti in materia adottati in molti Comuni un passaggio necessario. È su questo punto che la collaborazione con LABSUS è apparsa come particolarmente proficua: il prototipo di regolamento LABSUS è stato la base per l’adozione di moltissimi regolamenti comunali in materia, ed è stato anche riconosciuto come un importante riferimento di progettazione normativa da parte delle istituzioni. Oggetto di dibattito, quindi, è stato quale tipo d’intervento sul modello si configuri come il più opportuno: alla riscrittura complessiva dell’intero testo nel senso di un’integrazione trasversale è sembrata preferibile una modifica di tipo più puntuale e discreto. La soluzione emersa dalla discussione suggerisce la creazione, all’interno del prototipo di Regolamento, di un nuovo Capo specificatamente dedicato al riconoscimento di usi civici e usi collettivi come valido titolo per l’individuazione di beni comuni e per la gestione condivisa degli stessi. Parallelamente, si dovrebbe intervenire sui Principi Generali del Regolamento (Articolo 3) per garantire la coerenza concettuale e la complessiva tenuta sistematica del testo. Dell’elaborazione di questa proposta si occuperà un gruppo di lavoro interno alla Rete. L’esito di questo lavoro sarà poi alla base di un confronto per la collaborazione con LABSUS.

La distinzione tra beni comuni e beni pubblici sociali

È opportuno rilevare come il tema della legittimità degli usi civici sia di enorme importanza nell’attuale panorama dei beni comuni, come già specificamente segnalato nei lavori della stessa Rete, nella sua prima Assemblea Nazionale del 17 febbraio 2019, e attualmente disponibili sul web. Su questa questione si sconta infatti una problematica propria del contesto italiano: quella originata dalla definizione di beni comuni proposta dalla c.d. Commissione Rodotà del 2007 e recentemente ripresa dalla proposta di legge di iniziativa popolare promossa da Ugo Mattei e Alberto Lucarelli. Questa si articola in una distinzione tra beni comuni e beni pubblici sociali, nella quale i primi riguarderebbero il godimento dei diritti fondamentali della persona e il libero sviluppo della persona, i secondi il soddisfacimento di bisogni legati a diritti civili e sociali. Questa impostazione, oltre ad avere eventuali serie ricadute operative (specie in tema di alienabilità), suggerisce un’astratta estraneità tra promozione del libero sviluppo della persona e tutela dei diritti civili e sociali. Questo concetto è tanto più problematico quanto più è evidente, nel concreto delle esperienze sul territorio, come le attività di gestione condivisa del patrimonio pubblico, anche se inizialmente non veicolate da strumenti partecipativi predisposti dalle autorità, siano servite non solo ad offrire vasta utilità sociale e a valorizzare il patrimonio pubblico, ma anche a dotare gli individui di occasioni di crescita civica e umana rispondenti alle più alte ispirazioni costituzionali.

Foto in copertina di Elena Taverna (presidio di Mondeggi Bene Comune, 2016)