La Corte, adita nell’ambito di una controversia promossa dalla friulana Comunella Jus-Vicinia, ricostruisce la genesi storico-giuridica delle proprietà collettive esistenti sul territorio italiano.

Origine della controversia

La controversia, originata con ricorso proposto dalla Comunella Jus-Vicinia, quale persona giuridica di diritto privato, contro il Comune di Trieste, la Regione Friuli Venezia-Giulia e il Comitato per l’amministrazione separata dei beni civici di Opicina, era intentata al fine di veder dichiarata l’inesistenza di diritti di uso civico o di demanio civico su alcuni fondi insistenti nei comuni di Opicina, Rupigrande e Boscovizza, suffragata dalla deduzione dell’illegittimità di un bando commissariale del 1955 accertante, per contro, l’esistenza di tali diritti e quindi la loro liquidazione. La vicenda processuale vedeva una prima fase, in sede commissariale, conclusasi con sentenza di rigetto della domanda, avendo il giudice commissariale ritenuto non più contestabile il bando del 1955, con conseguente legittimità dell’inclusione dei terreni in contestazione tra quelli gravati da diritti di uso civico. Il giudice di seconde cure, la Corte d’Appello di Roma, rigettava nuovamente la domanda con percorso motivazionale coerente con la pronuncia commissariale.

La fase processuale e il quadro storico-giuridico

Il successivo svolgimento della controversia innanzi alla Corte di Cassazione ha visto, diversamente, l’accoglimento dei motivi di ricorso proposti dalla Comunella, vertenti su un duplice problema giuridico: anzitutto, “la soggezione o meno dei terreni oggetto di attività di comunelle o vicinie o vicinanze, comunioni familiari montane pro indiviso tipiche dell’altopiano carsico-triestino, alle norme dettate per gli usi civici e i demani civici dalla legge n. 1766/1927” e, in secondo luogo, “se tale effetto di non soggezione resista al contrario accertamento operato con bando commissariale”. La Corte, nel dare riscontro alla fondatezza dei motivi di ricorso, tratteggia la storia giuridica delle comunioni familiari: queste sono “formazioni sociali cui partecipano, su base gentilizia o per cooptazione, soltanto coloro che abitano e coltivano un determinato insieme di terre in forma diretta, promiscua e solidale sulla base di regole consuetudinarie o di antichi statuti”. Tali comunioni, di istituzione remota, preesistono all’ordinamento giuridico unitario, il quale le ha infatti “riconosciute” con diversi interventi legislativi: con d. lgs. n. 1104 del 1948, l. n. 991 del 1952, l. n. 1102 del 1971 e con l. n. 97 del 1994; l’orientamento di tale corpus normativo differisce intrinsecamente dall’intenzione del legislatore del 1927, il quale invece aveva stabilito, per i terreni oggetto di attività delle comunioni familiari, la liquidazione degli usi civici.

Le proprietà collettive quali ordinamenti originari

Il riconoscimento da parte dell’ordinamento giuridico attesta che i c.d. “domini collettivi, comunque denominati, non sono né sono stati in passato gravati da diritti d’uso civico; e dunque non ricadono sotto la predetta legge”. La Corte chiarisce, inequivocabilmente, come “la non soggezione dei domini collettivi agli usi civici abbia carattere originario”: i caratteri della preesistenza e dell’originarietà – e, si noti, tale argomento ha rilievo centrale nella pronuncia – sono stati peraltro riconosciuti in capo alle istituzioni denominate comunelle o vicinie o comunioni familiari dalla recente l. n. 168 del 2017, la quale è intervenuta nel corso della fase conclusiva della controversia; l’art. 1 di tale legge afferma, infatti, espressamente, che “in attuazione degli articoli 2, 9, 42 e 43 della Costituzione, la Repubblica riconosce i domini collettivi, comunque denominati, come ordinamento giuridico primario delle comunità originarie”, nonché come “comproprietà intergenerazionale”.

L’enunciazione del principio di diritto

In conclusione, sulla scorta di tali coordinate ermeneutiche, la sentenza in commento chiarisce che le comunioni familiari sono ordinamenti giuridici originari, caratterizzati da una partecipazione su base gentilizia o per cooptazione, che preesistono – e quindi precedono – al riconoscimento giuridico del legislatore del 1927 ed anche all’attribuzione di personalità giuridica: in questo senso, sono istituzioni soggette soltanto alla Costituzione: tale espressa affermazione è di fondamentale importanza attesa
l’attestazione, da parte della recente l. n. 168 del 2017, di tali enti come dotati di “capacità di autonormazione” e della “capacità di gestione del patrimonio naturale, economico e culturale, che fa capo alla base territoriale delle proprietà collettive”. La pronuncia è, in definitiva, importante per il chiarimento giuridico dato alla materia, che vede una complessiva rivalutazione e valorizzazione delle proprietà collettive la quale si pone in senso diametralmente opposto alla l. n. 1766 del 1927.

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