Festival dell'Economia 2012, Trento

La profonda crisi economica ha messo a dura prova la dicotomia tra pubblico e privato

La profonda crisi economica, che ha investito a livello mondiale tutte le generazioni, ha messo a dura prova la dicotomia tra pubblico e privato sulla quale si è deciso di edificare la logica di mercato e, nel ragionare su quali siano stati i fattori che abbiano condotto all’attuale fase recessiva, gli studiosi si sono accorti che il sistema economico e sociale cui facciamo riferimento non tiene conto della terza parte che regola la realtà  circostante: il comune.

Beni comuni e Beni pubblici

Come evidenziato da Remo Bodei, esistono dei beni che hanno una vita più lunga di quella dell’uomo e che, addirittura, ” vivono più vite attraverso le generazioni ” . Questi beni, i beni comuni, non sono i beni di nessuno, bensì, sono i beni di tutti e, se contestualizzati in un discorso economico, non possono che essere ricompresi all’interno di quel welfare state introdotto per la prima volta da Bismarck ed importato in Italia da Giolitti. Tuttavia, proprio perché lontani dal concetto di bene pubblico, la garanzia che i beni comuni siano tutelati, e possano creare valore aggiunto attraverso la loro trasmissione da una generazione all’altra, non può essere attribuita (solo) allo Stato. Quest’ultimo, certamente, deve fornire gli strumenti affinché chiunque possa adoperarsi per la loro cura e, in ultima istanza, deve hobbesianamente assicurarsi che non vengano messi a repentaglio da scelte poco lungimiranti, però, non essendone proprietario, deve altresìlasciare che sia la prassi quotidiana della collettività  a facilitarne la trasmissione tra generazioni. In un’ottica dantesca di ” orgoglio nel dare più di quanto si è ricevuto ” , quindi, i possessori dei beni comuni non devono percorrere la strada asfaltata del do ut des (sulla quale sono stati fin’ora guidati), ma, al contrario, devono sperimentare il sentiero sterrato della circolarità  intesa nel senso di dare, ricevere e riconsegnare.

Circolarità  di trasmissione del Bene Comune

La situazione appena descritta, a detta dei numerosi economisti intervenuti al Festival, non è più sostenibile. La società  ha bisogno di riattivare politiche volte alla creazione di crescita e, per farlo, deve cominciare a ridistribuire in maniera funzionale le competenze all’interno dello Stato. Troppo spesso, infatti, la condizione di welfare state è stata riposta in un patto non scritto tra l’autorità  pubblica e la famiglia, che, come fosse una corporazione, ha ricevuto in affidamento l’onere di rendere alle generazioni successive i beni comuni materiali e immateriali. Quest’impiego del familismo, però, non si è mai tradotto nel trasferimento del senso civico da padre in figlio in una prospettiva sussidiaria, ma, piuttosto, si è assolutizzato in senso feudatario fino all’estraniamento del nucleo familiare dalle altre relazioni sociali. Affinché si possa attivare l’automatismo virtuoso che genera creazione di valore aggiunto, invece, è importante che la responsabilità  della trasmissione intergenerazionale del bene comune torni ad interessare la sfera dell’individualismo: è il singolo (in quanto proprietario) a dover onorare il duplice impegno con la collettività  (in quanto cittadino) e con le generazioni postere (in quanto essere umano). Le stesse Costituzioni degli Stati democratici, intese come contratti sociali in senso Roussoiano, parlano all’individuo, e non alla famiglia. In questo senso, quindi, per migliorare il sistema economico attraverso la creazione di nuova crescita, è necessario ripensare ad un nuovo patto sociale in cui al cittadino da un lato venga trasferita la consapevolezza del compito intergenerazionale di cui è investito e, dall’altro, sia dato modo di usufruire appieno delle sue capabilities; solo se c’è un’effettiva possibilità  di realizzare la propria condizione di cittadinanza, infatti, la comprensione del concetto di restituzione può elevarsi a circolarità  di trasmissione del bene comune.