All’apertura delle scuole e quando il dibattito sui migranti sembra sul punto di esplodere, abbiamo intervistato Paola Piva della Rete Scuole Migranti: un network che ha a cuore non solo l’insegnamento della lingua ma veri e propri percorsi di educazione civica

“Immigrati con-cittadini. Buone pratiche per la vita in comune”. E’ stata un’intuizione provocatoria visti i tempi, il tema del convegno nazionale che si è svolto il ì 24 maggio 2019? Niente di tutto ciò: piuttosto uno sguardo diverso (alternativo?) su un tema oggi al centro dell’attenzione. Forse controverso e divisivo per molti aspetti, ma di certo originale e insieme strategico. Quello proposto dalla Rete Scuola migranti, coordinata e diretta da Paola Piva che abbiamo intervistato alcune settimane fa le cui parole pubblichiamo adesso, proprio quando il dibattito sul ruolo e il rapporto degli immigrati nel nostro Paese sembra essere sempre sul punto di esplodere.
La rete Scuole migranti è un network di associazioni di volontariato nel Lazio che organizzano corsi gratuiti di italiano per migranti adulti, bambini e ragazzi. Sostenuta da Cesv, Centro Servizi per il Volontariato Lazio, ha nel cuore del proprio progetto non solo l’insegnamento della lingua, ma veri e propri percorsi di educazione civica che “viene inserita nel programma e svolta in molti modi, utilizzando “agganci” forniti dagli allievi stessi: illustrazione della Costituzione italiana, confronto sui valori civili fondanti la convivenza, quale la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, ‘passeggiate didattiche’”, organizzando momenti sociali, feste, cineforum, tornei e gare sportive, spettacoli teatrali, laboratori interculturali. Si legge nel sito che “Alcune associazioni si sono specializzate nell’educazione linguistica all’interno scuola, come arricchimento dell’offerta formativa istituzionale. La scuola seleziona gli alunni da inserire e concorda con l’associazione il programma di massima, con verifiche in corso d’anno. Il laboratorio è gratuito, di solito articolato in piccoli gruppi, funziona per tutta la durata e anche oltre il calendario scolastico. E’ aperto agli alunni neo-arrivati per i quali spesso occorre anche insegnamento individuale”.
Il tema del convegno di maggio ha avuto il pregio di essere una vera e propria scommessa. L’intenzione era di raccoglie le esperienze di impegno civile realizzato a titolo gratuito da migranti, singoli, in gruppi spontanei, nelle associazioni: cura della città e dei beni comuni, arte, sport, cultura, formazione per adulti e bambini. Buone pratiche di cittadinanza attiva che sono state raccontate al venerdì 24 maggio 2019 al convegno nazionale “Immigrati con-cittadini”, dove sono state presentate buone pratiche di cittadinanza attiva svolte da migranti.

Come è andata la giornata del 24 scorso?

E’ stata molto piena; c’erano tutti i migranti che avevamo invitato a portare la loro esperienza. Ma devo riconosce che quando abbiamo deciso di fare questo convegno non eravamo sicuri del successo, perché non eravamo sicuri che esistessero tanti casi di migranti che fanno buone pratiche di cittadinanza attiva. Avendo escluso da questa categoria la mutualità interna alle associazioni immigrati. Perché esiste un confine un po’ labile tra la mutualità gratuita a titolo di volontariato e quella che possiamo definire come un commercio di servizi: trovare casa, lavoro, documenti, scuole di italiano eccetera. Attività normale. Esclusa questa categoria, volevamo testimonianze di chi fa cittadinanza attiva extracomunitaria, per tutti. Abbiamo invece incluso i cosiddetti “civilanti”, cioè i migranti che fanno servizio civile, che abbiamo tenuto dentro la rosa delle buone pratiche. Perché fare servizio civile è vero che è ritenuto retribuito, ma viene considerato dagli stessi promotori istituzionali come offerta di lavoro per la cittadinanza intera. E che ha un valore molto alto sia per chi lo fa sia per chi ne riceve i servizi. per esempio, vedere un giovane con la pelle scura che fa il servizio civile nelle biblioteche di Roma ha un effetto molto positivo. O il Rom che fa promozione della lettura, fa un altro bell’effetto. Ma noi non cercavamo l’effetto, cercavamo piuttosto il rovesciamento della percezione. Poter mostrare a se stessi (con il racconto degli stesi migranti a loro stessi) e poi che questo risultasse visibile all’esterno.

E alla fine che risultati avete avuto?

E’ stata un giornata molto positiva. Siamo partiti con l’Aula Magna che contiene trecentocinquanta posti stracolma. E ho avuto molti ritorni da persone entusiaste, che hanno vissuto prima le relazioni introduttive e poi le sessioni di lavoro. Le prime erano molto distanti tra loro: c’era un antropologo, Francesco Remotti, che ha fatto un ragionamento su identità e somiglianze (si veda il sito), che è stato molto efficace nello spiegare il pericolo della ricerca dell’identità e come questo sia un concetto “tossico” statico e discriminante, mentre la somiglianza è un concetto dinamico che consente di assomigliarsi progressivamente. Dal teorico siamo poi passati a due volontarie togolesi che hanno rappresentato grandi nuclei di cittadini africani, ma che potremmo individuare anche in Asia e altri Paesi, volontari, persone come loro che si sono inventate una scuola per donne analfabete nel cuore della loro capitale, Lomè (il Togo, che è uno dei più piccoli e poveri stati africani). Il loro intervento, con slides in francese, ma i sottotitoli in italiano, è stato molto commovente. Si è percepita l’autenticità di chi fa due corsi all’anno alle donne più povere del mercato. Dopo ci si è distribuiti nei tavoli di lavoro con esperienze che hanno molto colpito l’immaginazione. Esempi: i genitori immigrati di Milano che nella scuola privata di Milano fanno mutuo aiuto ai genitori per le difficoltà di inserimento scolastico, ma per tutti. Avendo vissuto una grossa difficoltà di inserimento per i propri figli fanno mutuo aiuto per gli altri.

Come far percepire il concetto di cittadinanza a chi normalmente viene messo ai margini delle comunità (vedi ius soli o razzismo emergente)…?

Loro lo capiscono da soli, siamo noi che non li valorizziamo! Sentono l’idea di comunità e di essere protagonisti: c’è una grande voglia di protagonismo in loro, e di fare delle cose nel Paese che li accoglie. Siamo noi che siamo pigri nel percepirli! Esempi ce ne sono tanti … Questo tema della cittadinanza attiva per noi è il futuro. Cioè noi (inteso come una Rete scuola migranti che punta sulla lingua e su tutto ciò che intorno alla lingua si apre) dobbiamo fare in modo che le nostre associazioni aprano la strada per condividere i percorsi in altre associazioni. Cioè fare presente che ci sono gli scout o altre ancora… Cioè aprire ai migranti l’associazionismo sul territorio e al capitale sociale attraverso la cittadinanza attiva, cioè facendo qualcosa di produttivo per tutti, dipende molto da noi, non da una presunta scarsa voglia che avrebbero loro, ma dalla nostra attenzione e programmazione.

Quali sono le difficoltà che emergono nel rapporto con le istituzioni?

Sordità. Non vedo efficaci politiche di integrazione.

Ma ci sono esperienze positive?

Si, ci sono laddove l’associazionismo è forte, perché in qualche modo obbliga l’ente locale a costruirsi delle politiche per l’immigrazione: ma abbiamo politiche solo sulla prima accoglienza. La nostra legislazione è concentrata sui permessi ma non abbiamo una legge quadro sull’Immigrazione. Con politiche frammentate per settore. Veniamo da 20 anni su immigrazione senza una legge quadro come abbiamo in altri settori. Per cui è vero che gli enti locali si trovano il problema sul territorio e sono in prima linea. Però sono le associazioni che stimolano le politiche. Non c’è quasi nulla in senso inverso.

Ci interessa particolarmente uno dei tavoli di lavoro che si chiama “Le città plurali e la cura dei beni comuni”. Come è andato? E perché Città plurali?

Perché nelle città plurali ci sono delle esperienze di Guide turistiche fatte con gli occhi dei migranti. La Milano multietnica scritta da donne straniere. E poi c’è il Laboratorio 53 a Roma in alcuni quartieri dove hanno costruito delle audio guide in alcuni quartieri come Termini, Esquilino, Piazza di Spagna e Trastevere dove hanno fatto delle guide con dei migranti che stanno studiando la lingua e che girando questi quartieri fanno delle associazioni mentali con la loro cultura. In italiano e in inglese per i turisti. Sono cioè delle guide per incuriosire. E poi alla fine del percorso incontrano chi le ha utilizzate e si fanno raccontare cosa è piaciuto. Tanti giovani turisti si divertono a fare questi giri. Provenienti dal primo mondo con un approccio multietnico e si divertono. Sul sito Scuole Migranti ci sono gli atti del Convegno e i report

Che prospettive future vi siete date come Rete?

Certo questo è un tema che non molliamo. Vogliamo assolutamente continuare non so se facendo un appuntamento annuale fisso o in altri modi, non lo abbiamo ancora deciso… O se – in modo più costante e organico – lavorando sulla formazione dei nostri operatori sul come aiutare i migranti in questa direzione, a fare cittadinanza attiva. Cioè strategie per aprire la cittadinanza attiva ai migranti tramite le scuole. Se si pensa che noi al minimo contattiamo più di 10mila migranti all’anno sarebbe un bel lavoro… Perché abbiamo delle vere e proprie scuole. Un’iniziativa su cui puntiamo sono le passeggiate didattiche con i migranti cittadini, ossia andare a vedere i luoghi del “potere” (Camere, Corte, Quirinale, eccetera) e vedendo si imparano le parole e i concetti a cui sono legati. In questo modo diretto, agile e anche un po’ divertente. Le nazioni, le città, la storia del nostro Paese. Adesso stiamo facendo formazione dei docenti perché questo cose funzionano se i docenti le capiscono e si preparano a farle nei loro programmi di italiano a scuola. Noi dobbiamo puntare sugli insegnanti di italiano. Che sono tanti (ne abbiamo oltre mille). Se a loro entra nel cervello la strumentazione per la cittadinanza attiva sono sicura che i migranti la recepiscono.