La messa alla prova amplia la platea dei candidati ai lavori di pubblica utilità .

"Che funzione rieducativa o risocializzante possono avere due anni in una delle carceri del nostro Paese?"

L’esame parlamentare del disegno di legge 519bis del ministro Severino si è aperto il 23 ottobre con la relazione della Commissione sul testo del provvedimento. Il disegno di legge prevede l’estensione della categoria dei potenziali candidati all’istituto della messa alla prova, già  noto nell’ambito del processo minorile. Più nel dettaglio la sospensione del giudizio viene prevista per reati con sanzione detentiva fino a quattro anni, qualora l’imputato ne faccia esplicita e volontaria richiesta prima dell’apertura del dibattimento: in questo caso il giudice potrebbe disporre la messa alla prova del richiedente attraverso ” la prestazione di un lavoro di pubblica utilità  ” .
Il lavoro di pubblica utilità  ” consiste in una prestazione non retribuita […] in favore della collettività  ” , le cui modalità  sono più specificatamente definite dal Decreto 26 marzo 21, da svolgere, si legge nel testo elaborato dalla Commissione, presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti ed organizzazioni non lucrative e di utilità  sociale.  All’istanza dell’imputato viene quindi allegato un programma di trattamento, elaborato d’intesa con l’Ufficio di esecuzione penale esterna, contenente le prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità  che verrà  considerato risarcimento del danno causato. L’estinzione del reato si realizza solamente qualora il giudice valuti positivamente l’esito della prova dell’imputato. L’innovazione di questo progetto di legge sta nel trasferire un istituto finora utilizzato solo nei processi minorili, ad un pubblico più vasto di imputati che manifestino la specifica volontà  di intraprendere un percorso di reinserimento alternativo.

Una maggiore utilità  generale

Le condizioni dei sistemi giudiziario e penitenziario italiani hanno già  sollevato dubbi sull’efficacia delle sanzioni penali previste dall’ordinamento: per questo genere di reati, il carico degli uffici giudiziari ed il collasso dei tempi prescrizionali lasciano aperti dubbi in primis sul raggiungimento di una sentenza ed in secondo luogo riguardo all’efficacia reale della sanzione penale; inoltre, date  le condizioni del sistema penitenziario italiano, si rischiano effetti ” di ritorno ” derivanti dalla permanenza in carcere, nel senso di un potenziale incentivo alla delinquenza. Nel dibattito parlamentare, il deputato Lorenzo Ria ha domandato giustamente ” Che funzione rieducativa o risocializzante possono avere due anni in una delle carceri del nostro Paese? ” .
La ratio del nuovo istituto è che dalla messa alla prova di un imputato si possa ricavare una maggiore utilità  generale, nella duplice forma di una reintegrazione sociale volontaria e di un contributo all’interesse generale nella forma del lavoro di pubblica utilità . L’istituto della messa alla prova risponderebbe quindi all’intento costituzionale di realizzare pene rieducative, ed al contempo di realizzare quel principio di sussidiarietà  orizzontale secondo il quale la pubblica amministrazione promuove e sostiene l’iniziativa privata di contribuire all’interesse generale attraverso il lavoro volontario.