Per i tipi dell’Editoriale scientifica, è uscito, nel settembre di quest’anno, “I rapporti tra pubbliche amministrazioni ed enti del terzo settore. Dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 131 del 2020“, il primo Quaderno di Terzjus – Osservatorio di diritto del Terzo Settore, della filantropia e dell’impresa sociale, associazione impegnata nell’approfondimento giuridico delle diverse applicazioni del principio di sussidiarietà orizzontale, la cui costituzione, nel dicembre del 2019, si pone nel solco delle iniziative di riflessione scientifico-culturale stimolate dalla riforma del Terzo settore.
Introduzione: il tema dell’opera
Il volume inaugurale della Collana, curato da Antonio Fici, Luciano Gallo e Fabio Giglioni, affronta il nodo dei rapporti tra pubblica amministrazione ed enti del Terzo settore. Il tema si inscrive all’interno della questione, centrale nell’ambito della sussidiarietà orizzontale, del rapporto tra Stato e società nel perseguimento degli interessi pubblici. La materia rappresenta un “classico” delle riflessioni che hanno impegnato la scienza giuridica, soprattutto amministrativistica, lungo tutto il corso del Novecento, anche prima e al di fuori dell’introduzione del principio di sussidiarietà in Costituzione (si pensi agli studi sugli istituti della concessione e del pubblico servizio o relativi alle figure soggettive “miste”, etc.). Purtuttavia, essa non presenta sintomi di obsolescenza, complice anche l’irrompere sul proscenio giuridico dell’(allora) ordinamento comunitario che, con il suo approccio funzionalistico, ha reso necessario un ripensamento degli assetti dogmatici fin lì cristallizzatisi.
Ciò è tanto più vero guardando al momento storico che stiamo attraversando. Se, come scriveva nel 1943 Salvatore Pugliatti nella Prefazione ai suoi Istituti di diritto civile, Stato e società, sfera pubblica e sfera privata, compendiano la necessaria dinamica tra «vitalità» e «garanzia» sottesa agli ordinamenti democratici, che puntualmente entra in fibrillazione nei periodi di crisi, uno studio sul Terzo settore risulta quanto mai attuale oggi, che una crisi pandemica senza precedenti si è aggiunta alla preesistente crisi economico-istituzionale. Le cronache dei mesi di lockdown, del resto, si sono progressivamente riempite di racconti relativi ad esperienze, più o meno spontanee, più o meno strutturate, di mutualismo e solidarietà che vedevano – e vedono tutt’ora – protagonisti cittadini «singoli e associati».
Ma l’attualità dell’opera attiene anche ad aspetti meno drammatici. Come si evince già dal sottotitolo, il lavoro collettaneo assume un preciso riferimento dal quale gli Autori muovono le proprie riflessioni, la recente sentenza della Corte Costituzionale del 26 giugno 2020, n. 131, riguardante le disposizioni del Titolo VII del codice Terzo settore (d.lgs. 3 luglio 2017, n. 177) concernenti i rapporti tra enti pubblici e Terzo settore. L’importanza della pronuncia, con la quale il paradigma dell’Amministrazione condivisa ha ricevuto per la prima volta espresso riconoscimento nella giurisprudenza costituzionale, a distanza di più di vent’anni dalla sua teorizzazione da parte di Gregorio Arena nella prestigiosa sede della rivista Studi parlamentari e di politica costituzionale, si deve alla circostanza per la quale essa fa séguito ad alcuni interventi del Consiglio di Stato, soprattutto in sede consultiva, che avevano ridimensionato la portata del codice del Terzo settore, a favore del codice dei contratti pubblici, in un’ottica tutta rivolta alla tutela della concorrenza.
L’approccio metodologico votato al pluralismo
L’angolo visuale prescelto favorisce, dunque, una prospettiva pubblicistica, del resto prevalente nell’ambito dei diversi contributi raccolti: ne sono testimonianza i temi su cui si è cimentata la maggior parte degli Autori – i confini applicativi del plesso normativo del codice dei contratti pubblici, in relazione a quello del Terzo settore; il rilievo, nei rapporti tra p.a. e Terzo settore, delle regole generali che governano l’azione amministrativa; i controlli ed i limiti dell’autonomia privata degli enti del Terzo settore; il rapporto tra ordinamento dell’Unione Europea e fonti costituzionali interne nelle scelte organizzative degli Stati membri, nonché la dinamica della ripartizione delle competenze tra Stato, Regioni ed enti locali – tutti ascrivibili ad ambiti tradizionalmente oggetto privilegiato di studio dei cultori del diritto pubblico e, in particolare, del diritto amministrativo.
Nondimeno, l’opera non dimentica l’importanza della dimensione privatistica nel diritto del Terzo settore – ormai assurto a disciplina autonoma, come emerge pressoché da tutte le voci che animano il lavoro – settore che, lo sottolinea espressamente Antonio Fici, attraversa trasversalmente, mettendola in crisi, la dicotomia pubblico-privato (p. 56). Un simile approccio transdisciplinare e, in generale, un’attenzione alle vicende “interne” agli enti del terzo settore, oltre che a quelle delle pubbliche amministrazioni, non sono dimostrati solo dalla presenza, già in sede di curatela, dello stesso Fici, studioso di diritto privato, che peraltro propone nel proprio saggio un’interessante ipotesi ricostruttiva in chiave civilistica dei rapporti giuridici cui dà luogo il paradigma dell’amministrazione condivisa. Essa emerge, oltre che dai presupposti sottesi alle analisi svolte dalla “componente” più schiettamente amministrativistica dell’opera, anche dai rilievi introduttivi di Felice Scalvini il quale sottolinea l’importanza della formazione non solo per i funzionari pubblici ma anche per il management del Terzo settore, al fine di una migliore capacità delle associazioni e delle altre organizzazioni private di rappresentare le comunità territoriali sulle quali insistono (pp. 14-16).
Inoltre, ancora con riferimento al carattere multidisciplinare dell’opera, specchio della realtà socio-economica dell’oggetto di indagine, sembra opportuno segnalare anche le interessanti incursioni sulle ricadute fiscali delle previsioni del codice del Terzo settore. Si tratta, infatti, di una prospettiva, quella del diritto tributario, che – non così raramente – risulta negletta dagli studi pubblicistici, cui pure la materia pertiene, ma che sottende rilevanti questioni pratiche idonee a fornire altresì indicazioni decisive di ordine teorico generale, come dimostrano i contributi di Giulia Scoppetta e di Gabriele Sepio.
Il merito di aver evitato un simile inconveniente, probabilmente da ricondurre alla tendenza degli studiosi a confinare le diverse branche del diritto entro (i talvolta eccessivamente) rigidi steccati dogmatici, a dispetto del carattere unitario dell’esperienza giuridica, sembra doversi ascrivere agli apporti di sensibilità diverse, non solo accademiche ma anche provenienti dall’amministrazione e dalle stesse realtà associazionistiche che quotidianamente si confrontano sui problemi concreti posti dalle diverse fattispecie dell’Amministrazione condivisa. Indubbiamente, un ulteriore elemento di ricchezza dell’opera che, si potrebbe dire, all’approccio pluralistico sotto il profilo oggettivo, ciò è a dire delle prospettive di indagine, affianca un pluralismo “soggettivo”.
Chiavi di lettura e spunti di riflessione
Sono rinvenibili almeno due elementi costanti che attraversano i contributi raccolti nel volume.
Il primo attiene al già evocato rapporto tra diritto pubblico e diritto privato che, letto attraverso i discordanti orientamenti giurisprudenziali della Corte Costituzionale e del Consiglio di Stato, assume le fattezze della contrapposizione tra principio solidaristico, di matrice costituzionale, e principi europei di concorrenza. Conflitto della cui attualità e potenziale dirompenza dà pienamente conto Fabio Giglioni, pur rinvenendone subito la soluzione nel riparto di competenze tra Unione e Stati membri che impedisce alla prima di ingerirsi delle scelte organizzative dei secondi: in questa prospettiva, l’Amministrazione condivisa viene configurata come modulo organizzativo, forma (consensuale) di esercizio del potere (p. 92).
Pur negando una necessaria identificazione privato-concorrenza, ma assumendo proprio il modello dell’amministrazione condivisa come dimostrazione della attitudine solidaristica dei privati (Arena, p. 32), dai saggi emerge, con diversità di accenti e sfumature, il carattere tendenzialmente pubblicistico degli strumenti attraverso i quali amministrazione e terzo settore collaborano nel perseguimento di interessi di carattere generale. In tal senso, Fabio Giglioni qualifica come accordi amministrativi ex art. 11 della legge n. 241 del 1990 le figure consensuali del codice del Terzo settore e, in generale, dell’Amministrazione condivisa, rilevando una diffusa mancanza di consapevolezza negli apparati amministrativi circa le potenzialità di simili strumenti come alternativi ai “tradizionali” schemi negoziali (p. 92); Marcello Clarich e Barbara Boschetti rilevano che il favor riconosciuto agli enti del Terzo settore nel rapporto con la p.a. «ha molto di pubblicistico» (p. 103); lo stesso Arena finisce per riferirsi all’Amministrazione condivisa come ad un’attività procedimentalizzata, governata dai principi della legge 241 (pp. 29-31; si veda altresì Lombardi, p. 38).
È interessante, nella prospettiva dell’amministrativista, la qualificazione, da parte di Antonio Fici, delle figure consensuali di collaborazione come contratti di comunione di scopo, piuttosto che di scambio, ai fini dell’esclusione dall’applicazione del codice dei contratti: se, come ammesso dallo stesso Fici la categoria dei contratti di comunione di scopo assume rilevanza essenzialmente dogmatica, «in quanto destinataria di una scarna (se non addirittura inesistente) disciplina giuridica» (p. 78), una simile opzione ermeneutica sembrerebbe confermare l’estrema difficoltà di sussumere sotto fattispecie privatistiche le esperienze di amministrazione condivisa.
Il secondo fil rouge dell’opera attiene ai rapporti “verticali”, tra i diversi livelli di governo e fonti del diritto. Vi si dedica in particolare Luca Gori, con riferimento alla dinamica Stato-Regioni, ma echi se ne rinvengono in diversi contributi: Arena si preoccupa di precisare i confini tra codice del Terzo settore e regolamenti comunali (p. 35), Luciano Gallo approfondisce le esperienze locali di amministrazione condivisa prima e dopo l’entrata in vigore della disciplina statale, anche Clarich e Boschetti rilevando come il codice ponga seri limiti all’autonomia privata sembrano prospettare un ridimensionamento dello “spontaneismo” proprio delle esperienze comunali.
Di qui, alcuni interrogativi: quale rapporto intercorre tra gli strumenti di cui agli artt. 55-57 del codice del Terzo settore ed i Patti di collaborazione stipulati sulla base dei regolamenti comunali? L’approvazione del codice implica una riduzione degli spazi applicativi dei regolamenti? Quali conseguenze avrebbe tale circostanza sull’informalità (cfr. F. Giglioni, Il diritto pubblico informale alla base della riscoperta della città come ordinamento giuridico, in Riv. giur. edilizia, 2018, pp. 3 ss.) che contraddistingue il paradigma “comunale” dell’Amministrazione condivisa, aspetto non secondario per il conseguimento di quelle esternalità positive immateriali che la scienza economica misura attraverso le valutazioni di impatto sociale?
Si tratta di quesiti che meriteranno specifici approfondimenti, probabilmente anche di natura non giuridica, e che esulano dal campo di indagine del volume in commento la cui prospettiva di studio ha come orizzonte la pronuncia della Corte Costituzionale. Nondimeno, se il compito della riflessione scientifica è stimolare domande, oltre che dare risposte, il loro stesso affiorare nella mente del lettore è segno che l’opera curata da Fici, Gallo e Giglioni ha raggiunto tutti i propri scopi.
Foto di copertina: Dariusz Sankowski su Pixabay