Verso una gestione veramente inclusiva e partecipata delle aree protette in Argentina

Continuiamo la riflessione sui Parchi come beni comuni con questo contributo redatto da Andrea Cecilia Suàrez, che condivide con i lettori di Labsus le particolarità e i percorsi che l’Argentina ha promosso e sostenuto in alcuni contesti di alta complessità.

Vorrei condividere con i lettori di Labsus le particolarità e i percorsi che l’Argentina ha promosso e sostenuto in alcuni contesti di alta complessità. Mi riferisco in particolare all’esperienza di cogestione tra le autorità nazionali e le comunità mapuche del Parco Nazionale Lanín. Questo Parco, di 412.013 ettari, si trova nella provincia di Neuquén nella Patagonia argentina, nel sud del Paese, ed è stato creato nel 1945.
Per consentire di avere un contesto di riferimento, occorre considerare che in Argentina sono presenti in 18 ecoregioni 49 aree protette nazionali, di cui ben 36 sono parchi nazionali.

Il contesto socio-politico e culturale

L’Argentina ha importato il modello di conservazione usato negli USA, concependo i parchi nazionali come riserve federali per la preservazione del patrimonio naturale. Questo ha comportato vantaggi e svantaggi che hanno influito sui rapporti tra le comunità locali e il sistema dei parchi. La creazione di molti parchi fu pensata come un contributo a obiettivi geopolitici di consolidamento delle frontiere nazionali. Questo assestamento dell’immenso spazio continentale a sud del paese conosciuto come Patagonia prevedeva e favoriva un ripopolamento basato sull’immigrazione europea.
Bisogna considerare che, verso la fine del secolo XIX, è stata attuata una campagna militare che ha permesso allo Stato argentino d’incorporare grandi estensioni di terra che, fino a quel momento, erano state in mano ai popoli originari. Gli indigeni opposero un’importante resistenza cercando di difendere quello che per loro era il Puelmapu (attuale Patagonia), ma furono sconfitti e persero il controllo del territorio.
L’espulsione delle comunità originarie da zone che poi sono state dichiarate aree protette è alla base delle rivendicazioni attuali. L’istituzione di queste aree sotto la giurisdizione dell’Amministrazione dei Parchi NazionaliAPN – ha favorito certamente aspetti positivi come lo sviluppo di centri urbani associati al turismo, ma ha rappresentato anche l’inizio di un lungo processo di conflitti con popoli originari, comunità rurali ed altri attori locali.
Il primo modello di parco nazionale si basava sulla visione di “riserve senza gente”, imponendo restrizioni severe all’uso del territorio, che comprendevano anche i movimenti delle persone. Questo schema non prendeva in considerazione i processi socio culturali ed economici necessari per conservare effettivamente le aree.
Negli ultimi anni si è avviato un intenso dibattito sulla necessità di cambiare il paradigma di gestione dei parchi e porre maggiore attenzione alla partecipazione e integrazione delle comunità locali. Attorno a questa concezione si articolano proposte e strategie in cui diritti, responsabilità, interazioni e ruoli trovano nuove espressioni.

Gestione e creatività: alleati del territorio

Il rapporto tra l’Amministrazione dei Parchi Nazionali e le comunità mapuche ha iniziato a trasformarsi già verso la fine del secolo XX registrando progressi sotto l’aspetto legale e politico, salvaguardando sia i diritti indigeni sia la conservazione della natura.
Quest’evoluzione ha comportato una nuova prospettiva per quanto riguarda la legislazione, la territorialità e la gestione dei beni naturali. Si riconosce che i popoli mapuche hanno un ruolo di primo piano per lo sviluppo delle aree in cui abitano e per gli obiettivi della conservazione.
Si sono così attuati progetti in diversi ambiti: gestione agricola e zootecnica, uso forestale, pianificazione di abitazioni rurali, produzione di fragole e lamponi, captazione e distribuzione di acqua, miglioramento delle infrastrutture di allevamento, vivai forestali, e amministrazione di piccole iniziative turistiche.
In questo contesto, su iniziativa della Confederazione Mapuche di Neuquén (CMN), ente che rappresenta le autorità originarie di quello che è oggi la provincia di Neuquén, è stato proposto all’Amministrazione dei Parchi Nazionali di affrontare i temi legati alla legislazione, alla territorialità e alla gestione dei beni naturali. Nel 2000 è stato quindi organizzato un seminario dal titolo “Territorio Indigeno Protetto” che ha rappresentato un vero punto di svolta nel rapporto tra l’Amministrazione dei Parchi Nazionali e le comunità mapuche. Il territorio è stato definito come «lo spazio nel quale si pratica la cultura mapuche, e comprende, nel loro insieme, i beni naturali, la superficie, il sottosuolo della terra, l’aria, e la storia dei propri rapporti sociali, culturali, filosofici ed economici».

Dal punto di vista giuridico è stato rivendicato quanto espresso nell’articolo 75 della Costituzione Nazionale che riconosce la preesistenza etnica e culturale dei popoli indigeni e la ratificazione della Convenzione Nº 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro che intende il concetto di territorio come la totalità dell’habitat che i popoli originari occupano o utilizzano in qualche modo.
Uno dei risultati più notevoli del seminario è poi stato il provvedimento Nº 227/00 dell’APN, a partire dal quale è stato costituito un Comitato di Gestione tra l’Amministrazione dei Parchi Nazionali e la CMN, prima istanza formale per definire e implementare una politica di cogestione nelle aree comunitarie. Da quel momento è stato possibile delimitare e zonizzare territori comunitari mapuche per avviare pratiche di cessione; aggiornare o modificare il quadro normativo dell’Amministrazione dei Parchi Nazionali in caso di bisogno; disegnare piani di gestione; e ricercare finanziamenti per progetti specifici. È importante però tener conto della previsione secondo cui se le azioni proposte entrano in contraddizione con i regolamenti vigenti, sono soggette alla ratifica da parte del Consiglio d’Amministrazione dell’APN.
Un altro traguardo è stato raggiunto nel 2007 quando, a seguito del Convegno Latinoamericano di Parchi Nazionali ed altre Aree Protette, è stata pubblicata la Dichiarazione di Bariloche, in cui viene riconosciuto il valore «delle esperienze di decentralizzazione delle funzioni dei governi rispetto alla gestione delle aree protette ed il contributo positivo di schemi di governance come la co-gestione dei parchi».

Limiti dell’esperienza e possibilità future

Guardando all’esperienza di questi anni, possiamo sostenere che questa nuova forma di gestione abbia favorito uno spirito di collaborazione che ha disattivato in parte le tendenze di non riconoscimento e di disuguaglianza sul territorio. Ma è altrettanto vero che questo tipo di cogestione non è bastato per superare le sfide di un’amministrazione veramente condivisa in un’area protetta.
È necessaria una nuova consapevolezza che consenta ai membri delle comunità di poter definire loro stessi cosa intendono per “beni comuni” e come questi beni dovrebbero essere curati e gestiti, per un miglioramento sostanziale delle loro condizioni di vita e per elevare gli standard di conservazione nell’area protetta.
Per una gestione inclusiva delle aree protette è essenziale rafforzare e allargare i processi di pianificazione partecipativa e applicare i principi di una buona amministrazione (trasparenza, equità, responsabilità e meccanismi di mediazione per la risoluzione di conflitti) che permetta il coinvolgimento attivo degli attori nella presa di decisioni, nella gestione a tutti i livelli e nella distribuzione equa dei costi e benefici associati alla creazione e gestione delle aree protette.
I processi descritti non si sono fermati e hanno continuato a dare risultati. Dopo il Convegno del 2007, parte delle organizzazioni partecipanti hanno costituito la Rete Indigena di Aree Protette. Il lavoro svolto dalla Rete ha portato al riconoscimento dei “Territori Indigeni di Conservazione” come modello possibile di gestione per la conservazione. Infine, nell’ambito del Convegno dell’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura (IUCN) del 2008 a Barcellona, si è costituito il Consorzio TICCA (Sostegno alle aree e territori conservati da popoli indigeni e comunità locali).
I TICCA sono aree in cui una comunità, in uno stretto rapporto con l’ecosistema, conserva quest’ultimo secondo i criteri della sua cultura e forma di organizzazione. L’Argentina ha aderito all’iniziativa in conformità con le linee approvate nel Convegno Mondiale dei Parchi del 2014. Ad oggi si sono avviati in Argentina 18 progetti TICCA che coinvolgono 32 comunità che rappresentano 8 popoli originari e 4 di queste comunità si trovano nel parco Lanín. Questi progetti riconoscono la forma di organizzazione che le comunità autodefiniscono, le loro linee culturali e i loro contributi alla conservazione. In pratica le comunità indigene si confermano come custodi della biodiversità e, quindi, della bellezza.

Andrea Cecilia Suárez, laureata in Scienze Politiche presso l’Università di Torino, cooperante con esperienza pluriennale in diversi Paesi in cui si è occupata di progetti di cooperazione allo sviluppo e di politiche di gestione locale per varie organizzazioni internazionali.
Recentemente ha ricoperto l’incarico di Vice Presidente dell’Amministrazione dei Parchi Nazionali dell’Argentina, lavoro che l’ha portata a occuparsi dell’Amministrazione condivisa in contesti complessi.
Ed è da quest’esperienza che deriva la riflessione che ha voluto condividere con noi.