Caro Presidente Draghi,
commentando nel 2009 sull’Osservatore Romano l’enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate, appena promulgata, Lei scriveva che «La crisi attuale conferma la necessità di un rapporto fra etica ed economia, mostra la fragilità di un modello prono a eccessi che ne hanno determinato il fallimento. Un modello in cui gli operatori considerano lecita ogni mossa, in cui si crede ciecamente nella capacità del mercato di autoregolamentarsi, in cui divengono comuni gravi malversazioni, in cui i regolatori dei mercati sono deboli o prede dei regolati, in cui i compensi degli alti dirigenti d’impresa sono ai più eticamente intollerabili, non può essere un modello per la crescita del mondo». Di più, Lei scriveva anche che «uno sviluppo di lungo periodo non è possibile senza l’etica» e che dunque «è necessario ricostituire la fiducia delle imprese, delle famiglie, dei cittadini, delle persone nella capacità di crescita stabile delle economie».
Quando Lei scrisse queste parole era Governatore della Banca d’Italia. Alcuni decenni prima, negli anni Sessanta del secolo scorso, un Suo predecessore nella stessa carica, Guido Carli, aveva affermato che: «La fiducia è il primo bene pubblico che i governanti dovrebbero preoccuparsi di produrre». Noi di Labsus diremmo “il primo bene comune”, ma il concetto è chiaro, la fiducia è un bene comune immateriale che tutti, non soltanto i governanti, dovremmo preoccuparci di produrre e di cui dovremmo prenderci cura, perché una società non può vivere e men che meno prosperare se non c’è fiducia fra i cittadini e fra questi ultimi e le istituzioni.
Ma, come recitava uno slogan degli anni Cinquanta del secolo scorso, “La fiducia nasce dall’esperienza”. E l’esperienza di noi Italiani nei confronti delle istituzioni, nel corso dei secoli, non è stata purtroppo tale da alimentare molta fiducia reciproca. Si tratta dunque oggi di recuperare decenni di esperienze negative, dimostrando con i fatti che ci possiamo fidare gli uni degli altri e, tutti insieme, ci possiamo fidare dei nostri governanti.
I patti come incubatori di fiducia
Ma chi comincia a fidarsi? La fiducia è circolare, nel senso che se si dà fiducia di solito si ottiene di ritorno altrettanta fiducia. Non sempre, naturalmente, perché ci sono anche quelli pronti ad approfittarsi della fiducia altrui. Questo significa che qualcuno deve prendere il rischio di cominciare a fidarsi, senza sapere se otterrà in cambio fiducia o una fregatura. Poiché non tutti sono disposti a correre questo tipo di rischi, si capisce perché in giro ci sia così tanta diffidenza reciproca.
È però in corso in Italia da alcuni anni un’esperienza riguardante decine di migliaia di persone in cui si produce fiducia senza che qualcuno debba rischiare per avviare il meccanismo di affidamento reciproco. Si tratta dei Patti di collaborazione, lo strumento con cui cittadini e amministrazioni condividono responsabilità e risorse per la soluzione di problemi di interesse generale, attraverso attività di cura dei beni comuni materiali e immateriali.
I Patti sono “luoghi virtuali” in cui si incontrano cittadini, associazioni, gruppi informali e amministrazioni, tutti con il medesimo obiettivo, la cura di un bene comune. Di solito l’iniziativa di dare vita ad un patto di collaborazione la prendono i cittadini, quindi in teoria sono loro che “rischiano” dando fiducia all’amministrazione. In realtà non rischiano nulla, perché l’amministrazione cui si rivolgono per stipulare un Patto, avendo adottato il Regolamento per l’amministrazione condivisa dei beni comuni, è per definizione interessata alla collaborazione con i cittadini e quindi non lascerà cadere la proposta dei cittadini di stipulare un patto per la cura di un bene comune del territorio.
I Patti sono quindi dal punto di vista della produzione di fiducia dei “luoghi” sicuri, dove nessuno dei soggetti coinvolti, privati e pubblici, deve avere remore a fidarsi degli altri. È in questo senso che si può dire che i Patti di collaborazione sono degli “incubatori” di fiducia, nel senso letterale del verbo “incubare” perché, se è vero che la fiducia nasce dall’esperienza, è proprio all’interno dei patti che si fanno quelle esperienze positive da cui nasce la fiducia fra i cittadini e fra i cittadini e le amministrazioni.
Ma la fiducia è contagiosa, pertanto se le persone imparano, collaborando all’interno dei patti, che ci si può fidare gli uni degli altri poi tenderanno a comportarsi di conseguenza anche negli altri rapporti sociali, con effetti positivi a cascata sull’intera società.
E dunque, caro Presidente, tornando a ciò che Lei scriveva sull’Osservatore Romano nel 2009 ed a ciò che diceva Guido Carli, se è vero che “La fiducia è il primo bene pubblico che i governanti dovrebbero preoccuparsi di produrre”, sappia che, se vuole avvalersene, c’è uno strumento per produrre fiducia e coesione sociale efficiente, economico e collaudato in migliaia di casi, anzi di Patti. Basta che Lei, per primo, dia fiducia ai cittadini, riconoscendo che le persone sono portatrici non soltanto di bisogni, ma anche di capacità. E che, se adeguatamente sollecitate, le persone sono disposte a mettere queste capacità a disposizione della comunità, per vivere meglio tutti. Glielo possiamo confermare, perché lo vediamo succedere in tutta Italia, ogni giorno, da anni.
Ripartire dai cittadini, con i cittadini
Lei inizia in questi giorni il suo servizio alla guida di un Paese stanco, impaurito, incerto sul proprio futuro. Un Paese in cui sembra essersi perso il significato stesso di interesse generale, inteso come vincolo all’agire sia collettivo, sia individuale in nome del bene comune.
Le speranze di milioni di persone sono riposte in Lei e sulle Sue spalle grava un peso enorme, che tuttavia potrebbe essere meno gravoso se condiviso non soltanto con il Presidente della Repubblica e con i ministri del Suo governo, ma anche con i Suoi concittadini.
Siamo infatti noi cittadini le truppe sussidiarie, quelle da chiamare in campo quando lo scontro volge al peggio, perché noi siamo portatori di competenze che potrebbero dare un contributo prezioso alla rinascita di un Paese stanco e sfiduciato. Per questo ci permettiamo di suggerirLe, caro Presidente, di fare affidamento su noi cittadini per far ripartire l’Italia. Nelle nostre comunità ci sono riserve immense di solidarietà, intelligenza, fantasia, competenze e voglia di fare, che aspettano solo di essere mobilitate in nome dell’interesse generale da una figura autorevole come la Sua.
Oggi è possibile “ripartire dai cittadini, con i cittadini“, fondando sulla sussidiarietà una nuova alleanza fra istituzioni e cittadini contro la crisi. Un nuovo patto, come il new deal che Roosevelt propose all’America in un momento per gli Stati Uniti altrettanto drammatico.
Siamo sicuri che se Lei si rivolgesse agli italiani rivolgendo loro un’esplicita “chiamata” alla cittadinanza attiva, così come una volta si chiamavano i cittadini alle armi per difendere il paese da un’aggressione, la risposta sarebbe entusiasmante, superiore ad ogni aspettativa.
Se infatti Lei chiamasse migliaia di cittadini, in tutta Italia, a mobilitarsi per realizzare l’interesse generale prendendosi cura dei beni comuni insieme con le pubbliche amministrazioni, l’effetto complessivo sarebbe straordinario, sia in termini di miglioramento della qualità della vita di tutti, sia per l’aumento della fiducia e della coesione sociale che deriverebbe dalla realizzazione di migliaia di patti di collaborazione. Sarebbe come un’iniezione di ricostituente per un organismo debilitato, perché una società con una forte presenza di cittadini attivi è una società in cui tutti vivono meglio ma è anche una società più competitiva.