Lo scorso 6 aprile, in diretta sui canali social di Labsus, è stato aperto il “cantiere” per redigere un nuovo Regolamento per l’Amministrazione condivisa dei Beni comuni per il Comune di Roma. Quali sono state le riflessioni e i commenti nei confronti di tale proposta?

È aperto il “cantiere” per redigere un nuovo Regolamento per l’Amministrazione condivisa dei Beni comuni per il Comune di Roma. Se ne è parlato il 6 aprile alle 17.30 con Sabrina Alfonsi, Marianella Sclavi e Walter Tocci, in diretta Facebook e YouTube dai canali Labsus.

La visione da cui sono partiti i relatori (pur da presupposti diversi, la prospettiva partecipazionista quella di Sclavi, l’amministrativa della presidente del primo Municipio, Alfonsi, e quella strategica dell’ex vice-sindaco di Roma Tocci) è stata chiara: Roma è un bene comune dell’umanità, di cui tutti dovrebbero prendersi cura. Tanto più dovrebbe farlo chi in questa città vive, godendo della sua bellezza, ma anche soffrendo per i tanti problemi provocati da anni di cattiva amministrazione e dal conseguente degrado materiale e morale della città.
Eppure a Roma, nonostante tutto, ci sono centinaia di associazioni e migliaia di cittadini attivi che vorrebbero potersi “alleare” con l’amministrazione comunale per prendersi cura della città e dei suoi beni comuni: parchi, aree verdi, spazi pubblici, scuole, beni culturali, etc… Ma non possono farlo in quanto Roma, a differenza di molte altre città italiane, più di 240, non ha il Regolamento per l’Amministrazione condivisa dei beni comuni. L’attuale maggioranza capitolina ha infatti bocciato per ben tre volte la proposta di delibera di iniziativa popolare che mirava a far adottare anche a Roma il Regolamento.
La speranza, però, è che l’Assemblea capitolina che uscirà dalle prossime elezioni amministrative vorrà dotare anche Roma del Regolamento per l’amministrazione condivisa dei beni comuni.
Ecco allora, come ha motivato Gregorio Arena in apertura, perché nasce un vero e proprio cantiere: «poiché vogliamo che Roma abbia il miglior Regolamento possibile, un “cantiere” che, anche sulla base dell’esperienza di Labsus in tutto il territorio nazionale, rediga entro settembre 2021 un nuovo Regolamento per l’amministrazione condivisa dei beni comuni, che tenga conto delle problematiche poste da una grande città metropolitana e delle peculiarità di una città unica al mondo come Roma». Inoltre, aggiunge Arena, per essere pronti quando ciò avverrà, si stanno formando cittadini attivi, responsabili e competenti in materia di beni comuni con i corsi delle Scuole di cittadinanza in diversi moduli diffusi nella città.

La specificità di questo Regolamento

Nell’introduzione dell’incontro, il professor Fabio Giglioni, componente del direttivo Labsus, ha sottolineato due aspetti centrali: primo, non è un Regolamento tecnico, che impone norme e comportamenti, ma “politico”, ossia che “ascolta” i cittadini e si mette a loro fianco, in grado di assestarsi e modificarsi secondo le loro esigenze; secondo, è un Regolamento che s’impone di dare corpo al principio di sussidiarietà previsto dall’art. 118, con la massima elasticità, prevedendo anche la possibilità che ad occuparsi dei Beni comuni siano i singoli cittadini in maniera informale, non strutturati in alcuna organizzazione, ma animati dal particolare valore di darsi da fare per migliorare – per tutti – la qualità della vita delle proprie città/comunità.
Ecco: le relazioni dei tre (particolarmente attenti e informati) discussant hanno esaminato la necessità del Regolamento con diversi profili. Con estrema chiarezza, sincerità e concretezza hanno espresso le proprie posizioni (anche evidenziando difformità di pareri), e rimandiamo alla registrazione per una completa e corretta documentazione degli interventi.

Le reazioni sulle chat: c’è voglia di discuterne bene

Per provare a capire qual è stato il primo impatto presso un pubblico di potenziali interlocutori del cantiere, è interessante riportare qualche traccia lasciata nelle chat durante l’evento.
I complimenti ai relatori per la «chiarezza dell’esposizione e per gli ottimi spunti di riflessione offerti» (Enrico) in attesa del prossimo evento, sono stati tanti.
Ma anche tante le domande rivolte a tutti i relatori e tese, soprattutto, a chiarire punti specifici per percorsi spesso faticosi e incerti che partono dai Regolamenti per arrivare ai preziosi Patti di collaborazione. Mette subito il dito nella piaga Massimo: «Qual è stato lo scoglio vero su cui si è scontrata la proposta di Regolamento a Roma?»; e poi, chiede Alessandro, «possono valere le stesse questioni anche nelle altre aree metropolitane d’Italia?»; «possono i Comitati di Quartiere espletare un ruolo importante nell’amministrazione condivisa soprattutto in città non suddivise in circoscrizioni?» (Fabio). Più generale, ma di fondamentale importanza, la questione posta da Arturo: «per bene comune si intende solo le aree relative al verde o ci sono altre aree di interessamento per i cittadini?».

Ma chi sono i “soggetti attivi”?

Tra le altre domande, Maria pone una questione centrale sul tema che riguarda i soggetti da considerare ‘soggetti attivi’, e scrive: «tutti i soggetti, singoli o riuniti in formazioni sociali, anche informali, in cui esplicano la propria personalità senza necessità di ulteriore titolo di legittimazione; ma non può essere pericoloso perché lascia spazio anche a soggetti o società di natura economica il cui fine è la realizzazione del profitto mascherato da servizi per la collettività o cura del bene?». Le fa eco Simone: «L’assenza dello scopo di lucro viene specificato nel regolamento. Anche se in realtà trovo questa scelta un forte handicap, anche in previsione futura dell’entrata in vigore del nuovo regolamento del terzo settore». Di diverso avviso è Rodolfo: «La legge regionale (del Lazio, ndr.) include fra i ‘cittadini attivi’ anche soggetti imprenditoriali. Quel che ogni Regolamento deve precisare è che chiunque partecipi a dei patti di collaborazione lo faccia sempre e comunque senza scopo di lucro». «Marianella Sclavi», scrive Giorgio riepilogando, «ha colto il punto chiave della gestione dei beni comuni a cui il regolamento dovrebbe dare una soluzione garantendo un utilizzo non privatistico del bene. Quali accorgimenti dovrebbero essere adottati nei regolamenti per garantire un uso equo dei beni comuni?».
Questioni aperte, domande e interrogativi di fondo sui quali, anche dopo le risposte date direttamente ad ognuno degli interlocutori, il dibattito dovrà essere approfondito e aperto nei prossimi incontri.

Partiamo dai territori

Poi ci sono le importanti questioni che, per quanto riguardino sedi territoriali precise, possono comunque interessare anche altre comunità, come quella posta da Simone: «A Prato i Patti di collaborazione sono diventati strumenti della politica locale, per scambiare favori ed ottenere voti». O Franco: «Cagliari non dispone ancora di un Regolamento dei beni comuni urbani. Come Comitato La Casa del quartiere Is Mirrionis lo stiamo proponendo da alcuni anni. Solo promesse da parte delle due ultime Amministrazioni (l’attuale di centro-destra e la precedente di centro sinistra)». Più ampio è il riferimento di Rodolfo: «La legge regionale n. 10/2019 ha impegnato la Giunta Regionale a definire delle linee guida proprio per i Comuni che volessero dotarsi di un Regolamento del Beni Comuni. In più la Regione Lazio si è dotata di un proprio Regolamento regionale».
Sulla “questione romana”, Stefano, fa una osservazione storica e puntuale degna di essere presa in grande considerazione: «Stimo Marianella Sclavi, ma afferma cose imprecise sulla nostra città. A Roma vi è stato un piano speciale per le Periferie (con un assessorato e un dipartimento specifici negli anni di Veltroni e seguenti), così come sono stati attuati diversi istituti e strumenti di partecipazione a vario livello, negli anni. Il problema è che ciò non è accaduto in modo compiuto, anche grazie all’asprezza della competizione politica (interna ed esterna alle varie coalizioni) che ha preferito obliare in modo sistematico ciò che è stato realizzato dagli “altri”. Un annullamento che ha disseminato la recente storia romana dei cosiddetti “sentieri interrotti” di cui Tocci parla nel suo ultimo libro. La spesa di queste interruzioni ovviamente la fanno i cittadini, e i dipendenti, in termini economici, civici e di competenze. Importante quindi, come dice la presidente Alfonsi, che le esperienze svolte negli anni restino nel tempo come patrimonio comune. Almeno nell’ambito della partecipazione. Cosa che da circa vent’anni non accade».

La Pubblica Amministrazione: croce e…

Infine le questioni più politiche, nel senso ampio e alto del termine: «Fondamentale la PA in questo processo…se non è pronta si rischia di non fare un passo», (Fabio); su cui insiste anche Livia: «tra il dire e il fare…della democrazia partecipativa, c’è la pubblica amministrazione, ve lo dico da anziana funzionaria regionale che crede alla funzione pubblica, va pensata e ripensata questa funzione, perché sia parte del processo e non ostacolo». «Principi di gestione dei beni comuni e attivazione di una scuola di scambio dei saperi e buone pratiche per dare ispirazione ai tanti cittadini sono ottime idee. Meno discrezionalità da parte dei comuni, ma più facilitazione alla progettualità spontanea dei cittadini Questo è il valore aggiunto fondamentale dei patti di collaborazione», (Giorgio).
E poi ci sono le questioni di grande attualità che pone Alessandro: «Si chiama governance sussidiaria multilivello stakeholders. Già nel Recovery Plan dovrebbe essere programmato e realizzato con questa modalità organizzativa. Il Servizio pubblico deve stare dentro ai quartieri popolari perché nei margini c’è la rigenerazione e la comprensione del tutto». E ancora: «le azioni di promozione e di collaborazione e di co-progettazione possono essere molteplici e riguardare tanti ambiti. Il Servizio promuove la co-costruzione delle politiche pubbliche».
Infine tanti i riferimenti ai Patti di collaborazione, accolti con grande favore: «Condivido la proposta dei patti di collaborazione», (augpas61), seppure con accenti diversi «case civiche del cittadino o condomini di strada? la formazione delle guide civiche di quartiere…», ma sempre contraddistinte da un profilo comune, segnalato da Irene: «I Patti di Collaborazione sono anche un modo per far sì che le persone imparino ad amare i Beni Comuni e di conseguenza diventino molto più sensibili a temi come l’ecologia, l’integrazione eccetera, che non sono altro che Beni comuni più grandi». «I patti», scrive Alessandro, «sono utili anche per promuovere i progetti utili alla collettività dei beneficiari del Reddito di Cittadinanza». Che fa anche un invito a partire da una premessa: «Collaborazione significa che cittadini di diversa tipologia collaborino assieme. Promuovete patti educativi territoriali!». Con ronnie56, che nella chat (più circoscritta di YT) aggiunge un elemento strutturale non da poco: «Giusto l’ufficio ‘vicino’ al Sindaco, ma già dalla fase di redazione, preparazione coordinamento e progettazione del Regolamento».

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