Nei tre webinar organizzati da Labsus, tante le idee e le proposte discusse per far sì che la prossima amministrazione capitolina faccia suo il Regolamento per l’Amministrazione condivisa dei beni comuni. Il percorso e i prossimi passi del “cantiere” aperto da Labsus

Il cantiere è il luogo in cui, in una faticosa ma sperimentata armonia, si cerca di far convivere competenze ed esperienze diverse per un obiettivo comune. E il cantiere per la cura dei Beni comuni a Roma è quello lanciato nei mesi scorsi da Labsus per far sì che la prossima amministrazione capitolina non faccia resistenza e adotti senza indugi il Regolamento per l’Amministrazione condivisa dei beni comuni, che, approvato e adottato da oltre 250 comuni italiani (di piccole, medie e grandi dimensioni), sta favorendo la costruzione e il sostegno di Patti di collaborazione, secondo le linee guida che si rifanno al principio di sussidiarietà fatto proprio dall’art. 118 della Costituzione (ultimo comma).
Affinché non si ripropongano gli ostacoli posti da questa amministrazione capitolina (che per ben tre volte ne ha bocciato l’adozione, nonostante la firma di oltre 15mila cittadini e numerose associazioni), Labsus ha preparato il terreno realizzando tre webinar, che hanno coinvolto soggetti diversi, offrendo idee e progetti, esperienze e modalità, strategie e conoscenze (il materiale umano e ideale che in un cantiere consente di raggiungere il risultato finale…), per costruire – appunto – un percorso comune grazie al quale, con i prossimi referenti amministrativi, si possa arrivare… “a dama”. Ossia al successo finale che varrebbe, per i cittadini e non solo per gli addetti ai lavori, una cura concreta per l’immenso patrimonio di questa città e – alla fine – per la stessa qualità della vita.
Sono stati tre incontri partecipati e intensi che potete vedere per intero: “Roma, Bene Comune”, è il titolo del primo, 6 aprile, quello introduttivo; seguito da “I Patti di collaborazione e il nuovo Regolamento del verde di Roma”, 12 maggio, e, infine, “Come gestire immobili (occupati e non) con i patti di collaborazione”, 16 giugno.
Discussione franca e aperta, che ha visto protagonisti – tra gli altri – Sabrina Alfonsi, presidente primo Municipio Roma; Marianella Sclavi sociologa esperta di partecipazione; Walter Tocci ex vicesindaco di Roma; il consigliere comunale Roberto Di Palma e diverse realtà dell’associazionismo civico. Non sono mancati spunti critici sulla necessità di avere un Regolamento, ed ecco perché è importante partire da alcune necessarie note di fondo.

Il punto di partenza

“Roma, Bene Comune” non è uno slogan: è il filo rosso che attraversa tutta l’iniziativa. Di più: è la bussola, perché Roma è un Bene comune dell’umanità, di cui tutti dovrebbero prendersi cura. Tanto più dovrebbe farlo chi in questa città ci vive, godendo della sua bellezza, ma anche soffrendo per i tanti problemi provocati da anni di cattiva amministrazione e dal conseguente degrado materiale e morale della città (Arena).
Eppure, a Roma ci sono centinaia di associazioni e migliaia di cittadini attivi che vorrebbero potersi alleare con l’istituzione comunale per prendersi cura della città e dei suoi beni: parchi, aree verdi, spazi pubblici, scuole, beni culturali, ecc. Per valorizzarli e renderli fruibili a tutti nel miglior modo possibile. Ecco perché è importante un quadro di riferimento di questo tipo, in quanto il «Regolamento per l’Amministrazione condivisa dei Beni comuni urbani non è come altri testi normativi, che, come quasi sempre fa il diritto, ordinano, indicano, istruiscono. Esso – invece – ha la “pretesa di accogliere”, di dare valore ad esperienze sociali che nascono da percorsi non tipici generando, però, valore aggiunto» (Giglioni). C’è bisogno di un Regolamento dei Beni comuni anche a Roma perché attraverso questo strumento si sperimenta una «creatività in cui i cittadini insieme provano a dare risposte a problemi che avvertono». Il Regolamento, perciò, diventa una cornice giuridica importante per dare forma e sostegno ai Patti. L’amministrazione ha bisogno di una cornice, anche a prescindere dall’esistenza di una vera e propria legge. Un concetto forte, perché se è vero che i Patti possono essere proposti dai cittadini anche in modo spontaneo, il Regolamento da ad essi forza e continuità, e può essere uno strumento della pubblica amministrazione per uscire dall’episodicità, in maniera organica: «Con una strategia e una visione politica che investa sulla esperienze civiche di amministrazione di governo, può nascere una vera e propria policy di governo della città» (Giglioni).

Con quali caratteristiche di fondo?

Dai Patti di collaborazione per la cura di uno o più beni, (che nascono – non sempre, ma spesso – in maniera determinante anche grazie alla adozione, diffusione e implementazione di un Regolamento), emergono alcuni fattori di valore aggiunto, più volte evidenziati. Primo: con essi si riesce a mettere in luce non solo le risorse materiali, ma anche quelle umane di saperi diffusi; il Patto costituisce uno strumento conoscitivo. I Patti valorizzano le persone che sono viste come portatrici di competenze messe a disposizione di tutti. Secondo: il valore della relazione tra spazio/cittadini/istituzione è una caratteristica peculiare dei Patti di collaborazione, fondativo della fiducia che genera e mette solide basi al senso di comunità. Di qui l’importanza del processo di partecipazione: il Patto rappresenta un momento di confronto tra l’Ente pubblico e la cittadinanza attiva. La co-progettazione che funziona in maniera semplice, efficace e produttiva.
«La gestione condivisa di questi immobili (o delle aree verdi) va nella direzione del riuso degli spazi e nella gestione dei servizi nei quali la comunità, senza sostituirsi alle istituzioni, assume un ruolo di efficace soggetto attivo, attraverso forme di gestione condivisa, e processi di natura collaborativa», ha ribadito Bonasora, facendo eco alle riflessioni di Sclavi, che nell’incontro precedente aveva detto: «I Patti di collaborazione servono perché innestano pezzi di processi di democrazia partecipativa in una visione più ampia. Ma noi siamo ancora bloccati in sistemi semplicistici e riduzionistici del voto a maggioranza, in cui non si mette in discussione una partecipazione che valorizzi le differenze e insieme sia fruttuosa». E allora «per funzionare in un sistema complesso è necessario sapere come si trasforma la diversità in risorsa: ma bisogna studiarlo nel dibattito pubblico italiano. In una società complessa come quella che viviamo oggi, abbiamo bisogno di ripensare il diritto pubblico in termini dialogici e i Patti sono proprio questo». Ecco perché è giusto spingere affinché «queste esperienze incrocino le politiche pubbliche, guardando all’insieme del processo politico e culturale che le favoriscono. Anche perché (elemento secondario, ma da non trascurare) «il Patto fa crescere anche il valore economico del bene che fino a un po’ di tempo prima era abbandonato, anche grazie ad un approccio collaborativo e non competitivo, con al centro l’interesse generale, e quindi il valore d’uso e non solo economico del bene» (Bonasora). Al momento, però, secondo Tocci, è solo «una sorta di mormorio pubblico, ma per parlare di Beni comuni c’è bisogno di una mobilitazione che lo faccia diventare “discorso pubblico, condiviso“, facendo forza comune tra i soggetti della cittadinanza».

Le reti che si generano con i Patti

Ed è proprio per alimentare questo dibattito diffuso, questa forza comune, i tre webinar hanno visto protagoniste voci già impegnate da tempo nella cura di aree verdi o di immobili, valorizzando quella capacità di «aggregazione che nasce dalla gestione condivisa» (Argiolas). Così i risultati che si stanno ottenendo «sono importanti soprattutto per le relazioni positive con le istituzioni e con altre associazioni presenti sul territorio: sta nascendo così una comunità educante» (Pontoriero). «Un percorso partecipato con 26 associazioni che ha mostrato gli elementi fondamentali del Patto: creare un luogo accogliente; partecipato e aperto; innovativo» (Silvestre). Con una serie di ricadute positive che confermano «l’importanza della relazione che abbiamo già sperimentato nei nostri piccoli accordi, che in qualche modo anticipano i Patti» (Cioli). «Per noi», ribadisce Falcolini, «il Regolamento significa spazi per giovani, riconquistare luoghi abbandonati, contribuire a creare la città in cui vorremo vivere, certezze, energie su cui investire, essere riconosciuti». La rete, la relazione, il tessuto comunitario, evidenziato anche dalle parole del consigliere capitolino Di Palma, tra gli artefici del Regolamento per il verde: «È fondamentale la collaborazione con le Associazioni che si stanno occupando dei Beni comuni per rendere questo percorso correttamente applicato».

E ora? Conclusioni e prospettive

Ora i cittadini romani saranno chiamati a scegliere il nuovo sindaco e il nuovo consiglio (oltre alle giunte municipali). E se è vero quello che dice una esperta come Alfonsi, presidente uscente del primo Municipio, molto attivo in questo ambito, che «l’Amministrazione condivisa a Roma non può che passare dai Municipi visto che la scala romana è troppo vasta», e altresì vero che «un candidato sindaco a Roma dovrebbe fare della gestione e rigenerazione della grande quantità di beni immobili una politica strategica» (Giglioni). Staremo a vedere.
Ma siccome nella migliore tradizione italiana (ancor più romana) i cantieri rischiano di rimane aperti troppo a lungo, Labsus ha previsto tre ulteriori tappe di questo percorso.
La prima, un incontro con un gruppo di funzionari e addetti ai lavori della macchina amministrativa romana, per capire cosa potrebbe ostacolare l’adozione e la messa a regime del regolamento per Roma. Un confronto con soggetti importanti e a volte decisivi perché l’obiettivo finale possa andare a segno e bene. Il secondo, sempre a settembre, un tavolo tecnico che definisca il testo da consegnare alla prossima amministrazione una volta insediatasi.
Infine, continua la formazione che si sta già realizzando da mesi, per essere pronti quando il Regolamento sarà “bene comune” dei cittadini romani: decine di cittadini attivi, responsabili e competenti in materia di beni comuni, stanno partecipando alle Scuole di cittadinanza distribuite sul territorio. Perché le regole, senza le mani, la testa e il cuore dei cittadini attivi, rischiano di restare… lettera morta.

 

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