Quando il progetto urbano incontra le pratiche della diversità

La sezione Ricerche pubblica la tesi di Giulia Lodetti, che affronta il tema complesso della diversità e della coesistenza di comunità plurali nel contesto urbano. L’autrice riflette sulla crisi sociale e spaziale che investe le nostre città e che emerge, in modo sempre più pronunciato, sotto forma di manifestazioni e rivendicazioni del diritto alla città e al suo uso. Nel titolo della tesi traspare la direzione che suggerisce l’autrice, “Verso un uso con-diviso. Quando il progetto urbano incontra le pratiche della diversità”. Nella tesi si riporta il caso studio del quartiere Aurora di Torino.
Lasciamo ora all’autrice il compito di presentare la sua ricerca.

Il contesto

La crisi provocata dal Covid-19 ha avuto effetti impressionanti sulla società, mettendo a nudo, in un modo senza precedenti, le disuguaglianze della cittadinanza e facendo emergere le barriere che definiscono le nostre città, non esclusivamente da un punto di vista sanitario ed economico, ma anche sociale. Diversi e diffusi episodi di intolleranza e di razzismo hanno messo a nudo una rinnovata, per quanto antica, paura della diversità e delle modalità con cui essa vive nello spazio urbano; ciò ci spinge ad interrogarci sul possibile ruolo della città e dei suoi spazi nel creare nuove possibilità in cui i diversi co-abitano, mettendo in comune regole di convivenza (G. Pasqui, 2018).

Società in trasformazione

La crisi della società altro non è che un riflesso della crisi che possiamo leggere e scoprire nei territori, segnati da repentine trasformazioni, tra le quali l’aumento dei flussi globali di persone e la progressiva concentrazione delle stesse in un unico spazio, quello della città. Questi fenomeni, strettamente correlati e dipendenti tra loro, hanno concorso ad enfatizzare un carattere specifico della società contemporanea, quello della diversità umana, una realtà che, per quanto abbia caratterizzato la storia dell’uomo, è andata stratificandosi tanto da raggiungere situazioni estreme.
Stanno emergendo infatti sempre più contesti nei quali la differenza non si riduce ad una dualità tra macro-gruppi di provenienza diversa, ma che si connotano come multi-diversi per fattori di natura etnica, culturale, linguistica, economica, sociale. In questi luoghi, che la letteratura ha classificato come hyper-diverse (T. Taşan-Kok, G. Bolt, L . Plüss, W. Schenkel, 2017) , la diversità diventa, per così dire, ordinaria, in quanto la gran parte delle persone arriva da qualche altra parte (P. Briata, 2019) e questa nuova condizione porta alla necessità di rivedere non solo il concetto di diversità, ma di aggiornare e attualizzare le pratiche di pianificazione che si confrontano con una realtà sempre più complessa e difficile da governare.

La città delle differenze

La stretta convivenza tra diversità è la causa primaria di tensioni e di conflittualità, le quali si manifestano in modo concreto negli spazi dell’urbano che risultano sempre più inadeguati a raccogliere una domanda complessa di attori, di usi e di valori attribuiti agli stessi. L’uso del territorio mediante pratiche, spesso non convenzionali, è la modalità prima con cui le popolazioni rivendicano la propria individualità e il proprio diritto alla città, caricando i prodotti dell’architettura e dell’urbanistica di significati soggettivi e spesso non condivisi.
L’effetto diretto della compresenza di più attori che, insistendo sullo stesso luogo, rivendicano la definizione di un diverso valore è l’insorgere di conflitti nella città plurale, laddove il territorio viene usato simultaneamente da più soggetti, in modo spesso diverso e anche difforme da quello previsto dalla destinazione d’uso di progetto. La diversità, infatti, si manifesta e si rende visibile, costruendo una città all’interno della città, un qualcosa di nuovo e talvolta sospeso che rompe gli schemi formali e tradizionali della città e che comporta il generarsi di paure e di insicurezza, mettendo in atto processi di trasformazione che le politiche spesso non sono in grado di rintracciare né regolare.

Aurora, la Torino diversa

Questo processo di trasformazione si è reso particolarmente accentuato in alcuni quartieri dove la presenza di diversità socioculturale ha raggiunto dei valori superiori agli standard, e tra i casi italiani troviamo il quartiere iper-diverso di Aurora, nel Nord di Torino.
Questa è un’area fortemente caratterizzata dall’immigrazione, susseguitesi a partire dagli anni Cinquanta (in corrispondenza con lo sviluppo industriale dell’azienda Fiat), dove le popolazioni straniere si accostano a quelle della tradizione, rendendo manifeste le diversità di stili di vita e gli attriti nell’uso dello spazio, in quelle pratiche spontanee e informali che avvengono nei luoghi della collettività.

Le politiche

In questo scenario complesso e conflittuale sono diverse le strategie adottate per governare la presenza di diversità e i suoi risvolti nell’uso del territorio, con una sinergia di azioni e strumenti che Amministrazione, pianificazione, associazioni e comunità hanno introdotto nel contesto torinese. Nonostante questo sforzo di garantire la legittimità di un uso diverso, difendendolo come bene comune della cittadinanza, sono emersi numerosi limiti negli strumenti adottati, quali politiche securitarie, progetti di rigenerazione di natura privata, strumenti di governo del territorio, che hanno avuto esiti controversi e hanno provocato un graduale allontanamento delle popolazioni indesiderate.
Diventa indispensabile che il progetto urbano e il progetto sociale possano collaborare per rendere le pratiche d’uso dello spazio collaborative e non conflittuali, senza privarle di valore o del ruolo sociale che possiedono per gli individui e i gruppi.

Per un uso con-diviso

Per raggiungere questo obiettivo è indispensabile che si diventi attenti alla richieste e ai bisogni che vengono espressi attraverso gli usi del territorio, e restituire alla diversità il suo ruolo di principio guida per i pianificatori (S. Fainstein, 2005) in quanto le modalità con cui la stessa viene affrontata determinano la creazione di una nuova società, caratterizzata dalla competizione o dalla possibilità di convivenza tra pubblici multipli.
L’accezione di con-divisione, adottata nella sua scansione linguistica quale somma di cum e divisione, ci consente di ripensare alla collettività come un insieme di individui separati e diversi che abitano uno spazio e, condividendolo, lo plasmano, innescando un processo in grado di generare una rete di pratiche sovrapposte e intrecciate (C.Bianchetti, 2014).
La categoria dell’uso con-diviso, quale strumento di mediazione e di giunzione tra le categorie di co-progettazione e di pianificazione, ambisce a rispondere alle esigenze di compresenza delle molteplicità, verificando e legittimando quella fluidità dell’uso che si scontra con l’inerzia al cambiamento della città e del suo governo. La possibilità di con-dividere senza necessariamente avere in comune è la chiave per favorire non solo l’integrazione e il riconoscimento tra le diversità, ma anche la realizzazione di nuovi spazi (dispositivi attivi, contenitori in grado di ospitare diversi tipi di attività, persone, tempi) e, eventualmente, di poter cambiare a fronte di un cambiamento degli usi.

Foto di copertina: Condomini del quartiere Aurora, a Torino (credits:BORGHY52 su Flickr)