“La rivoluzione del ruolo del Terzo settore nella sentenza 131/2020” è il titolo del podcast registrato il 4 febbraio 2022 dal neopresidente della Corte costituzionale Giuliano Amato, per la serie “Sentenze che ci hanno cambiato la vita”. Il podcast è disponibile sul sito della Consulta, nella Libreria dei podcast della Corte costituzionale, e sui suoi canali social. Uno strumento innovativo per fare conoscere al grande pubblico, un’importantissima sentenza.
La sentenza della Corte: perché e come nasce
La sentenza 131/2020 rappresenta una delle decisioni della Corte Costituzionale di maggior impatto sulla realtà dell’intero Paese, per il volontariato e tutti gli altri soggetti del Terzo settore. Si tratta di un vero e proprio esempio di collaborazione, indiretta e virtuosa, tra Parlamento e Corte.
Una sentenza che potrebbe sembrare, a primo impatto, una semplice riaffermazione dei principi di solidarietà e sussidiarietà già costituzionalmente affermati (rispettivamente all’articolo 2 e 118), ma in realtà comporta implicazioni di rilievo.
Tutto nasce dal ricorso dello Stato nei confronti della legge della Regione Umbria, la quale dava una specifica conformazione giuridica alle cooperative di comunità (attraverso cui i cittadini concorrono alla gestione di beni comuni e servizi collettivi, molto spesso per ravvivare paesi piccoli e marginali che stanno perdendo popolazione). La legge dice che a queste situazioni si applicano le disposizioni del Codice del Terzo Settore: le amministrazioni pubbliche collaborano con i soggetti del Terzo settore per identificare bisogni collettivi e co-progettare la soddisfazione degli stessi.
L’esultanza del Terzo Settore: perché?
Lo Stato specifica: questo rapporto con le istituzioni pubbliche può essere instaurato con soggetti che dispongano di determinati requisiti, entro i quali le cooperative non rientrano, quindi la legge umbra allargava di molto il campo di applicazione. La Corte si è espressa in merito con quella che si definisce sentenza interpretativa di rigetto: è vero quello che dice lo Stato, ma è pur vero che la legge regionale può, e deve, essere interpretata nel senso che le cooperative di comunità siano abilitate a co-programmare e co-progettare quando abbiano i requisiti specifici che lo Stato chiede.
È l’alleluia del Terzo settore: come mai? I rapporti tra pubbliche amministrazioni e soggetti che si occupano di fornire beni e servizi di interesse comune sono regolati in generale dal Codice degli appalti: il principio di base è che le amministrazioni per assegnare un servizio o la gestione di un bene devono fare le gare altrimenti violano il principio di non concorrenza. Già il Codice del Terzo Settore nel 2017 si mostrò dunque incoerente, poiché qui non si gareggiava, ma si cooperava; con la decisione della Corte siamo difronte ad un altro passo in avanti, un ulteriore modo di stabilire rapporti tra la pubblica amministrazione con quei privati che sono portatori di interessi collettivi ora affidati a organizzazioni spontanee della società civile: questo è la sussidiarietà.
È una rivoluzione?
Così si può leggere l’effettiva portata rivoluzionaria dell’ultimo comma dell’articolo 118 della nostra Costituzione: ci vogliono regole, ma non quelle della gara; qui c’è condivisione a partire dall’idea iniziale, del progetto e delle risorse umane e finanziare per poterlo mettere in atto. In questo modo si riforma la stessa amministrazione e non solo il rapporto che intercorre fra la stessa e i cittadini: «si passa dall’amministrazione del fare all’amministrazione del far fare», dice icasticamente Giuliano Amato. Essa prima sapeva fare le cose direttamente, ora invece adotta provvedimenti che consentono agli altri di poter fare. Pochi mesi dopo la sentenza, c’è stata la legge di conversione del Parlamento dell’11 settembre 2020, la quale ha riscritto in più disposizioni il Codice degli Appalti, che, stabilendo «fermo restando quanto previsto dal titolo settimo del decreto legislativo numero 117 del 2017», ha sancito che viene prima ciò che c’è scritto nel Codice del Terzo Settore. «Non c’è più incoerenza ma un cappello a più punte di cui oggi disponiamo», conclude così lo stesso Amato.
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