Era la sera di lunedì 24 ottobre. Dopo alcune ore di viaggio in pullman da Cracovia stavamo attraversando a piedi la frontiera fra la Polonia e l’Ucraina. Dall’altra parte ci aspettavano dei minivan per portarci al Seminario greco-cattolico di Leopoli, dove il giorno dopo si sarebbero svolti gli incontri fra sindaci italiani e ucraini previsti dal programma della missione cui stavo partecipando.
Ho capito che non era un viaggio come gli altri quando, entrando in territorio ucraino, mi hanno detto di spegnere la geolocalizzazione del mio cellulare perché eravamo in “Zona di guerra”. E questa sensazione di pericolo incombente si è accentuata quando, subito dopo, mi hanno invitato a scaricare un’app che suona quando c’è un allarme aereo nella regione ucraina in cui ci si trova, in modo che si faccia in tempo ad andare nei rifugi sotterranei per sottrarsi alle bombe. L’app ce l’ho ancora sul mio cellulare, non l’ho disattivata. In questi ultimi giorni ha suonato spesso e ogni volta ho pensato alle persone che avevo incontrato a Leopoli.
Sugli incontri che si sono tenuti il 25 ottobre nel Seminario di Leopoli, sul loro svolgimento e sugli esiti si possono leggere i dettagliati resoconti riportati nel sito del Movimento Europeo di Azione Nonviolenta (MEAN), che ha avuto un ruolo fondamentale, insieme con altre associazioni, nell’organizzazione della missione a Leopoli, i begli articoli su Avvenire e sul Corriere Romagna, oppure vedere i brevi video-clip che ho registrato per Labsus a Leopoli.
Perché siamo andati a Leopoli?
Qui invece vorrei provare a riflettere su questa straordinaria esperienza nella prospettiva di Labsus. Innanzitutto, perché siamo andati a Leopoli, in una situazione potenzialmente a rischio? Per tanti motivi, ma direi che le motivazioni essenziali sono state due, una altruistica e l’altra per così dire “scientifica”.
La motivazione altruistica è abbastanza evidente. Gli Ucraini non devono essere lasciati soli di fronte all’aggressione della Federazione Russa e il modo migliore per non lasciarli soli, come dice il Decalogo del MEAN, consiste nell’essere «accanto agli ucraini aggrediti e martirizzati da tante, troppe, settimane. Andiamo lì per abbracciarli e condividere il loro dolore». Il tema della condivisione è centrale anche sotto un altro profilo, perché la missione a Leopoli, come le altre iniziative del MEAN, «non arriva dall’alto ma è preparata, condivisa, discussa con la società civile ucraina, con le sue organizzazioni e istituzioni».
Labsus propone da anni un modello di amministrazione (che è al tempo stesso anche un modello di società) fondato sulla condivisione di risorse e responsabilità fra cittadini e amministrazioni, nell’interesse generale. Condividere è nel nostro DNA, come associazione e come persone, fin dalla nostra fondazione 17 anni fa.
Ci è sembrato dunque naturale condividere fisicamente con gli ucraini aggrediti il rischio della guerra, perché siamo convinti che la comunicazione più efficace passa attraverso i comportamenti. Ne abbiamo avuto conferma al momento della partenza, quando il Rettore del Seminario greco-cattolico salutandomi mi ha detto: «Grazie per essere stati qui con i corpi, oltre che con le parole!».
Ma anche le parole sono importanti e quindi abbiamo condiviso con i sindaci ucraini presenti all’incontro di Leopoli le nostre competenze ed esperienze in materia di Patti di collaborazione, cercando di renderci utili con ciò che sappiamo fare meglio. Il nostro dunque non è stato soltanto un “essere accanto” fisicamente, ma anche un “essere accanto con le nostre competenze”, mettendole a disposizione per la ricostruzione.
Alla motivazione altruistica si è aggiunta poi la motivazione “scientifica”, quella cioè dello studioso che, avendo elaborato molti anni fa una teoria che nel frattempo è diventata concreta modalità di svolgimento della funzione amministrativa, era interessato a verificare fin dove potesse arrivare l’applicazione della teoria dell’Amministrazione condivisa. Detto in altri termini, se l’Amministrazione condivisa può essere un modello generale, così come lo è il modello tradizionale, deve potersi applicare a ogni situazione, ivi compresa quella che si è creata in Ucraina in seguito all’aggressione russa.
Ebbene, l’esperienza fatta durante la missione a Leopoli con i sindaci italiani ed ucraini e i suoi sviluppi potenziali sembrano confermare questa ipotesi, perché si è avuta l’ennesima riprova dell’estrema flessibilità dei Patti di collaborazione, che in Ucraina possono essere utilizzati in almeno due modi (e altre modalità di utilizzo potranno ovviamente emergere in corso d’opera).
Patti per azioni non violente
Innanzitutto, un primo ambito di utilizzazione dei Patti di collaborazione ha riguardato i rapporti fra i comuni italiani e quelli ucraini. La missione a Leopoli aveva lo scopo di creare dei canali di collaborazione fra gli enti locali dei due Paesi per sostenere i comuni ucraini colpiti dalla guerra, utilizzando la formula dei “gemellaggi”. Il confronto con Labsus ha indotto gli organizzatori ad andare oltre il mero gemellaggio per parlare invece di veri e propri Patti di collaborazione per azioni non violente fra comuni italiani ed ucraini, fondati sulla condivisione di risorse e responsabilità nella soluzione dei problemi riguardanti le rispettive comunità.
In effetti i gemellaggi sono forse strumenti più adatti a situazioni ordinarie, finalizzati all’organizzazione di iniziative in campo turistico, culturale, culinario, etc. mentre nella situazione attuale dei comuni ucraini stipulare Patti di collaborazione con i comuni italiani significa creare un legame molto più forte del semplice gemellaggio, andando oltre il semplice affiancamento per dar vita a forme di collaborazione riguardanti problemi di ogni genere.
Pertanto d’ora in poi tutte le azioni di sostegno ai comuni ucraini previste da MEAN si svolgeranno all’interno della cornice dei Patti di collaborazione per azioni non violente fra comuni italiani ed ucraini. Si tratta di un’applicazione totalmente nuova dell’Amministrazione condivisa, perché finora in Italia i Patti sono stati stipulati fra cittadini e amministrazioni, non fra amministrazioni. Non essendoci precedenti, si tratterà di sperimentare nuove soluzioni, tenendo conto che i comuni ucraini sono in guerra e per prima cosa hanno bisogno di aiuto per rimediare ai danni provocati dall’aggressione nemica.
Patti per la ricostruzione condivisa
L’altro ambito possibile di utilizzazione dei Patti di collaborazione da parte dei comuni ucraini è quello tradizionale dei patti stipulati per la cura dei beni comuni fra cittadini attivi e amministrazioni. In questo caso c’è la nostra ricchissima banca dati cui attingere, anche qui però tenendo conto che le esperienze italiane riguardano interventi dei cittadini attivi integrativi di quelli pubblici in una situazione di normalità, in cui la vita scorre più o meno tranquillamente. I comuni ucraini invece sono in guerra e, quindi, in questa fase è probabile che i Patti di collaborazione debbano essere usati in maniera innovativa, non tanto per prendersi cura giorno per giorno dei beni comuni, quanto per affrontare insieme, man mano che la situazione bellica lo consentirà, il problema della ricostruzione.
Nell’incontro che si è tenuto a Leopoli il 24 ottobre scorso abbiamo messo a disposizione dei sindaci ucraini presenti le nostre competenze per aiutarli, se lo riterranno utile, a stipulare dei Patti per la ricostruzione condivisa di paesi e città. È chiaro che i soggetti pubblici dovranno farsi carico della ricostruzione delle infrastrutture, degli edifici pubblici, delle reti di comunicazione, etc., mentre i privati ricostruiranno le proprie case e gli imprenditori le fabbriche. Ma rimane comunque uno spazio enorme per una ricostruzione condivisa degli spazi pubblici, del verde pubblico, delle scuole (intese come beni comuni materiali e immateriali) e in generale di tutti i beni comuni, intesi come li intendiamo noi, cioè beni pubblici della cui cura (e, in questo caso, della cui ricostruzione) si assumono la responsabilità anche i cittadini, insieme con i proprietari pubblici.
Gli abitanti conoscono i loro territori come nessun altro
Nella prospettiva dell’amministrazione tradizionale fondata sul paradigma bipolare la ricostruzione, così come la progettazione urbana, sono attività strettamente riservate agli urbanisti, ai progettisti, in una parola agli specialisti. Nella prospettiva invece dell’Amministrazione condivisa fondata sul paradigma sussidiario alla ricostruzione ed alla progettazione devono poter partecipare anche i cittadini, gli abitanti dei luoghi oggetto della ricostruzione. L’antropologia positiva che è alla base della teoria dell’Amministrazione condivisa riconosce infatti nei cittadini dei soggetti portatori di competenze e capacità, oltre che di bisogni che l’amministrazione deve soddisfare (art. 3, 2° comma della nostra Costituzione).
Ciò è tanto più vero per quanto riguarda la conoscenza dei luoghi e dei territori dove le persone vivono. Gli urbanisti ed i progettisti hanno ovviamente delle preziose e raffinate competenze specialistiche, ma gli abitanti conoscono i loro territori come nessun altro può conoscerli. Certo, chi abita un luogo spesso non ha la visione generale, ma quella dovrebbero appunto averla gli specialisti e gli amministratori. Integrare queste diverse modalità di conoscenza dei territori nell’ambito di un progetto di ricostruzione condivisa, in cui specialisti e abitanti dialogano in un clima di rispetto reciproco, porterebbe a risultati molto migliori di quelli in cui la ricostruzione e la progettazione sono state totalmente delegate agli specialisti. Con tutto il rispetto per gli specialisti, naturalmente… ma tutti noi conosciamo esempi di quartieri invivibili, progettati senza tenere alcun conto dei bisogni reali degli abitanti.
La ricostruzione condivisa dei paesi e delle città ucraine dovrebbe riguardare sia la fase della progettazione, sia quella della realizzazione, esattamente come i Patti di collaborazione per la cura dei beni comuni che noi promuoviamo in Italia riguardano sia il “dire”, sia il “fare”. Dovrebbe dunque essere prevista la partecipazione degli abitanti alla progettazione, utilizzando sia le metodologie della democrazia deliberativa e partecipativa, sia quelle dell’ascolto attivo promosse da Marianella Sclavi. E successivamente gli abitanti dovrebbero poter partecipare alla vera e propria ricostruzione, insieme con le amministrazioni locali, naturalmente. Perché, come diciamo da anni, l’Amministrazione condivisa non legittima in alcun modo un “ritrarsi” dei soggetti pubblici, bensì ne sollecita semmai un diverso modo di svolgere il proprio ruolo.
Ricostruzione condivisa e democrazia
Come accade in generale per tutti i Patti, anche nel caso dei Patti per la ricostruzione condivisa i vantaggi non sarebbero solo materiali (grazie alla condivisione di risorse preziose quali il tempo, le competenze, le esperienze, le relazioni, etc. dei cittadini attivi coinvolti nella ricostruzione), ma anche (se non soprattutto) immateriali. La nostra esperienza ci insegna infatti che prendersi cura dei beni comuni vuol dire prendersi cura delle persone, sia di quelle che si attivano nell’ambito dei patti, sia di quelle che usufruiscono dei beni comuni.
Innanzitutto, ricostruire insieme il proprio Paese pensando al futuro rafforza enormemente i legami di comunità ed il senso di appartenenza, aiutando a curare insieme le ferite che la guerra sta producendo soprattutto nelle piccole comunità. Fondare la ricostruzione sulla collaborazione (che è il contrario della competizione) e sulla condivisione (che è il contrario dell’egoismo) renderà più forti e resilienti le comunità ucraine.
Inoltre, paesi e città ricostruiti insieme probabilmente continueranno ad essere curati dagli abitanti anche dopo la fine della ricostruzione. In un certo senso, sarà come se la ricostruzione continuasse per sempre attraverso le attività di cura quotidiane.
Infine, abbiamo visto in Italia che i Patti di collaborazione sono delle piccole ma utilissime palestre di democrazia, dove i cittadini riscoprono il gusto di trovare insieme soluzioni ai problemi della comunità. In altri termini, anche se magari non vogliono sentirselo dire, i cittadini attivi fanno politica, usando i loro diritti di cittadinanza per riunirsi, discutere, decidere, partecipando alla vita pubblica in prima persona e non soltanto attraverso il voto. Se questo accade nei patti semplici per la cura dei beni comuni, tanto più i Patti per la ricostruzione condivisa potranno rappresentare per molti cittadini ucraini uno spazio per la ri-scoperta della democrazia, con effetti benefici sull’intera società ucraina.
I Patti sono impermeabili alla corruzione
Infine, c’è un problema più generale riguardante la ricostruzione, perché purtroppo ricostruzione fa rima con corruzione, ovunque nel mondo. Quando si potrà ricostruire arriveranno in Ucraina enormi quantità di denaro, ci saranno da fare gare, appalti, progetti e in tutte queste procedure ci saranno spazi per la corruzione, come sempre quando in gioco c’è l’esercizio del potere e l’erogazione di denaro pubblico.
I Patti di collaborazione invece sono un istituto del Diritto amministrativo che per motivi strutturali non si prestano ad essere utilizzati per operazioni illecite. Nei Patti non c’è esercizio del potere, non c’è erogazione di denaro pubblico, le regole sono semplici, i rapporti fra i cittadini e le amministrazioni sono totalmente paritari e, soprattutto, tutto ciò che accade è visibile a tutti. La trasparenza assoluta che governa i Patti di collaborazione è il miglior antidoto alla corruzione e infatti nei circa 7.000 patti stipulati finora in Italia non c’è mai stato il minimo sospetto di possibili comportamenti illeciti.
Per la ricostruzione delle infrastrutture, degli edifici pubblici, delle reti di comunicazione, etc. è inevitabile che in Ucraina si usino le procedure tradizionali, anche perché sono le uniche che le loro burocrazie conoscono. Bisognerà dunque vigilare con attenzione su queste attività, usando tutti gli strumenti previsti dall’ordinamento per tenere sotto controllo i probabili comportamenti illeciti.
Ma oltre a questo c’è poi il grande spazio della ricostruzione condivisa gestita mediante i Patti di collaborazione. Grazie alla strutturale impermeabilità dei Patti alla corruzione tutti gli interventi di ricostruzione condivisa potrebbero essere totalmente indenni dalla corruzione e da illeciti, un risultato straordinario sia in termini etici, sia pratici.
Gli impegni per il futuro
Al termine dell’incontro che si è svolto il 25 ottobre scorso presso il Seminario greco-cattolico di Leopoli i rappresentanti dei comuni Italiani, dei comuni Ucraini e della società civile italiana ed ucraina presenti all’incontro hanno approvato un documento finale con lo scopo di «regolamentare i reciproci impegni a favore del popolo ucraino aggredito e della costruzione della pace in Europa» (il documento è disponibile in allegato). Il documento è stato firmato dal MEAN (Movimento Europeo di Azione Nonviolenta), da Act For Ukrain, dal Coordinamento delle Anci Regionali, dalla Rete dei Piccoli Comuni del Welcome e da Labsus.
Rinviando al testo integrale per un approfondimento dei temi trattati e degli impegni assunti, dal punto di vista di Labsus qui interessano in particolare gli artt. 2 e 4.
L’art. 2, intitolato Patti di Azione Nonviolenta, Amministrazione Condivisa e Sussidiarietà, dispone che: «I Patti sono accordi di natura para-contrattuale fra enti locali, mediante i quali le parti concordano tutto ciò che è necessario per la cura dei beni comuni urbani e locali, la difesa della popolazione civile e la messa in sicurezza delle strutture principali del welfare municipale e dell’economia locale.
I patti di azione nonviolenta hanno il duplice scopo di creare ponti stabili di fraternità e collaborazione tra le municipalità europee e quelle ucraine e di definire un metodo di funzionamento dei suddetti ponti allo scopo di difendere il popolo ucraino in modo nonviolento e migliorare la qualità di vita complessiva, nei limiti degli attacchi in corso, delle città gemellate.
A partire dal principio giuridico e sociale della sussidiarietà orizzontale le parti convengono che la forma migliore di aiuto agli ucraini possa essere data dalle città ucraine alle loro popolazioni ed agli sfollati accolti, prima ancora che dagli aiuti che arrivano dalle organizzazioni internazionali».
L’art. 4, intitolato Patti per la Ricostruzione condivisa, dispone che: «I Comuni Italiani e le loro organizzazioni, in particolare l’associazione LABSUS, si impegnano a dare informazione e formazione ai comuni ucraini che lo richiederanno per la stipula di Patti di collaborazione da parte dei comuni ucraini.
I Patti di collaborazione proposti da Labsus verranno usati in maniera innovativa e finalizzati allo scopo di affrontare insieme (comuni e cittadini), man mano che la situazione bellica lo consentirà, il problema della ricostruzione.
Labsus mette a disposizione la sua competenza per la stesura di Patti per la ricostruzione condivisa di paesi e città. La ricostruzione dovrà prevedere forme innovative di partecipazione diretta dei cittadini sia per la ripresa e la cura dei beni di interesse comunitario (come le scuole, i parchi giochi, i cinema, ecc.) sia per le forme di collaborazione tra cittadini per la ricostruzione dei beni privati, come le case e le fabbriche.
Il MEAN si impegna unitamente alla società civile ucraina per un miglioramento complessivo della democrazia europea, globalmente intesa, ed è nostra convinzione che questo miglioramento possa partire dal rilancio di un’Europa dei popoli accanto all’impianto burocratico già esistente di un’Europa dei governi statali».
Sulla pagina Facebook ed il profilo Instagram di Labsus è possibile rivedere i brevi video-clip registrati in diretta da Leopoli!
⇒ English version HERE!
Per le immagini, inclusa quella di copertina, si ringrazia Luca Daniele
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