La diffusione del modello organizzativo di amministrazione condivisa è in espansione. All’inizio dell’anno corrente in più circostanze su questa rivista si è avuto modo di ricordare il rinvio in termini generali che fa il nuovo codice dei contratti pubblici, rendendo l’amministrazione condivisa un modello generale capace di includere soluzioni diverse. Ed è sulla base di queste premesse che vale la pena sottolineare ora un altro avanzamento di questo modello organizzativo.
Ci si riferisce alla disciplina dei servizi pubblici locali, rinnovata alla fine del 2022 con il decreto legislativo n. 201. La disciplina era attesa da molto tempo dopo il referendum del 2011, passato alla storia come quello sull’acqua pubblica, che aveva travolto la precedente disciplina generale sui servizi pubblici locali. Da quel momento si sono succeduti vari testi normativi che, nell’incertezza di gestire il vuoto normativo aperto (vuoto normativo ma non di regole, dal momento che potevano essere attinte da una giurisprudenza europea consolidata), sono intervenuti su aspetti specifici della disciplina. La spinta del Pnrr ha permesso di superare gli indugi e di arrivare a un nuovo testo rivolto praticamente a tutti i servizi pubblici locali.
L’articolo 18 e i principi di solidarietà e di sussidiarietà orizzontale
In linea generale, il decreto legislativo n. 201 del 2022 si occupa di aspetti che poco hanno a che vedere con l’amministrazione condivisa, trattandosi di una disciplina tesa a regolare servizi pubblici di natura economica e imprenditoriale, ma dentro questo contesto merita di essere considerato l’art. 18. Si legge infatti nel comma 1 che: «In attuazione dei principi di solidarietà e di sussidiarietà orizzontale, gli enti locali possono attivare con gli enti del Terzo settore rapporti di partenariato (…)»; sebbene li chiami rapporti di partenariato, è certo che si tratti di relazioni di amministrazione condivisa, dal momento che i due principi evocati sono proprio quelli citati dal codice del Terzo settore, che oramai viene considerato uno dei testi di riferimento per l’amministrazione condivisa. D’altra parte è ben chiaro questo nel comma 3 dello stesso articolo, dove si stabilisce che la norma non trova applicazione qualora le risorse pubbliche messe a disposizione degli enti del Terzo settore superino il rimborso dei costi sostenuti, evocando chiaramente i rapporti aventi natura non sinallagmatica a cui ha fatto riferimento la sentenza n. 131 del 2020 della Corte costituzionale. Dunque l’amministrazione condivisa trova spazio nella disciplina dei servizi pubblici locali.
L’aggiunta di valore e beneficio alla collettività
C’è da domandarsi però in che modo possa coesistere il modello dell’amministrazione condivisa con quello dei servizi pubblici economici, la cui disciplina deve tenere in considerazione un quadro di regole che non appare coerente con essa. La risposta si trova ancora nel comma 1 dell’articolo 18 dove si dice che i rapporti di partenariato sono attivati dagli enti locali per la realizzazione di «specifici progetti di servizio o di intervento funzionalmente riconducibili al servizio pubblico locale di rilevanza economica». Se ne deduce, pertanto, che l’amministrazione condivisa – come è giusto che sia – non costituisce un modello alternativo di gestione dei servizi pubblici locali, ma una soluzione progettuale relativa a un aspetto specifico di un determinato servizio o di un segmento particolare di esso. L’amministrazione condivisa è spesa all’interno di un determinato servizio pubblico per aggiungere un ulteriore valore e beneficio alla collettività, che di solito i servizi pubblici economici, organizzati in modo standard, non garantiscono.
L’esempio del servizio di refezione scolastica
Un esempio potrebbe spiegare quello che si vuole dire. Facciamo il caso della mensa scolastica. L’attività di somministrazione dei pasti all’interno di una mensa di una scuola comunale è affidata tramite normale procedura di affidamento a un determinato soggetto di impresa e in questo modo soddisfa certamente un interesse pubblico. Poniamo il caso, però, che la comunità di studenti da servire sia composta da ragazzi di nazionalità o religione diversa; certamente l’impresa chiamata a servire i pasti dovrà tenerne conto, ma lo farà in modo standard differenziando la somministrazione dei cibi valutando la distribuzione dei ragazzi secondo nazionalità o credo religioso. Tutto questo soddisfa un interesse pubblico, ma non fa di quella comunità di studenti una comunità necessariamente ben integrata. Non si può così escludere che si prevedano speciali momenti durante l’anno in cui, per rafforzare il senso di appartenenza della comunità scolastica frequentata da bambini e famiglie di diverse nazionalità, la preparazione del cibo sia affidata ai genitori degli alunni costituiti in un’associazione facente parte di enti del Terzo settore o a enti con esperienza del Terzo settore che lavorano sull’integrazione dei minori. L’attività sarebbe collegata a un progetto specifico e non sostitutiva, ma finalizzata a conseguire obiettivi di integrazione sociale e culturale che integrano quelli standard del servizio pubblico. Il cibo, d’altronde, è, tra le altre cose, anche un elemento di appartenenza culturale. In questo senso i rapporti di partenariato si legano a una specifica progettualità nell’ambito di un’attività di servizio pubblico. La soluzione prospettata manifesta la consapevolezza del legislatore che esistono interessi, bisogni e obiettivi che possono essere raggiunti con un altro modello organizzativo integrativo di quello più tradizionale.
Verso nuove soluzioni nella gestione dei servizi pubblici
Si tratta così di un altro ambito in cui l’amministrazione condivisa può trovare spazio. Nel decreto commentato si dice che è responsabilità degli enti locali, insieme ai soggetti del Terzo settore, dar vita a questi rapporti, ma indubbiamente iniziative come quelle riportate nell’esempio evidenziano che anche il soggetto ordinario deputato all’erogazione del servizio pubblico deve essere coinvolto. Su questo la norma tace, quasi supponesse che l’ente locale possa pretendere l’assenso dell’impresa. Nei fatti questo non sembra verosimile e meccanismi di coinvolgimento è ragionevole credere che andranno sviluppati.
Al di là di questi aspetti pratici l’art. 18, d.lgs. 201 del 2022, prospetta nuove soluzioni nella gestione dei servizi pubblici che è utile diffondere, anche per prevenire indirizzi giurisprudenziali, già commentati su questa rivista, che finora si sono dimostrati poco propensi ad avere un approccio più inclusivo dei modelli organizzativi.