La ricerca valutativa nazionale sul riuso a fini collettivi degli spazi dismessi

Community hub, portinerie, poli civici e di aggregazione, luoghi di innovazione aperta e collaborativa, presidi civici, nuovi centri culturali e centri culturali indipendenti… Cosa hanno in comune tutte queste pratiche dal basso e a base comunitaria di riuso a fini socio culturali del patrimonio? Qual è la rilevanza del fenomeno alla scala nazionale? In che modo concorrono a infrastrutturare il territorio di nuovo welfare di prossimità? In che relazione stanno con le politiche pubbliche e in che modo le pubbliche amministrazioni possono attrezzarsi per sostenerne la nascita, lo sviluppo e la durata nel tempo? La ricerca valutativa pubblicata a Dicembre 2023 dal Nucleo di Valutazione e Analisi per la Programmazione (NUVAP) – Dipartimento Politiche di Coesione, della Presidenza del Consiglio dei Ministri e intitolata “Spazi di comunità. Ricerca valutativa sulle pratiche di riuso di spazi dismessi a fini collettivi” si confronta con queste domande di ricerca, offrendo, per la prima volta, uno sguardo di sistema e alla scala nazionale su un fenomeno di crescente interesse.

Un caleidoscopio di pratiche tra protagonismo civico e amministrazioni innovatrici

La fotografia che la ricerca ci restituisce è quella di un panorama caleidoscopico di esperienze plurali e vivaci, animato da quel protagonismo contagioso delle comunità di cittadini attivi che si mobilitano per la cura dei beni comuni, che noi di Labsus conosciamo bene e raccontiamo ormai da diversi anni. Meno scontata è invece la carica innovatrice e trasformativa che arriva da quelle pubbliche amministrazioni (sempre più numerose in Italia, in particolare a livello locale) che escono dai propri uffici e dalle proprie confortevoli (talvolta asfittiche) routine, per lavorare insieme e a supporto di tali pratiche, riconoscendo in queste quegli enzimi civici e sociali in grado di rinsaldare la relazione tra istituzione pubblica e territorio, tra politiche e bisogni. Un approccio al policy making che si alimenta di una sempre più diffusa disponibilità alla co-progettazione e alla collaborazione tra “amministratori” e “amministrati”, e che spesso trova compimento nel ricorso al Regolamento per l’amministrazione condivisa dei beni comuni e ai Patti di collaborazione.
Per provare a navigare nella ricchezza di questo documento, abbiamo invitato due delle 6 autrici della ricerca a ripercorrere la genesi, gli obiettivi e i principali contenuti di questo lavoro. Abbiamo chiesto a Tecla Livi, coordinatrice della ricerca, e Giorgio De Ambrogio, ricercatore esperto di analisi di politiche pubbliche, di accompagnarci in questa lettura.

Tecla, la ricerca nasce in seno al Dipartimento per le Politiche di Coesione. Perché i beni comuni e in particolare gli Spazi di comunità sono oggetti interessanti per chi si occupa di programmazione dei fondi della coesione?

La scelta di indagare il tema del riuso collaborativo di spazi dismessi per finalità sociali e culturali, che attiene al più ampio tema dell’innovazione sociale place based, è stata determinata dall’interesse della questione nel dibattito pubblico, dalla rilevante presenza del fenomeno a livello micro-locale, da nord a sud del paese, e dal consolidarsi dell’interesse, in particolare degli enti locali, verso queste modalità collaborative di riuso del patrimonio. È evidente, infatti, negli ultimi dieci anni, il diffondersi sul territorio nazionale di processi di riuso dal basso di spazi e beni abbandonati a beneficio delle comunità locali e in ottica di bene comune. Il ciclo di programmazione 2014-2020 delle politiche di coesione ha offerto un interessante campo di sperimentazione di questi processi community led attraverso il sostegno all’innovazione sociale.
Questo panorama di esperienze e sperimentazioni, in alcuni casi anche consolidate e mature, meritava di essere indagato e valutato, non tanto in termini di risorse assorbite, quanto per l’importanza che queste sperimentazioni assumono nei territori di riferimento e in senso prospettico, per le sfide che pongono ai programmatori e ai gestori, rendendole oggetto di crescenti richieste di informazioni e di indirizzi. La rilevanza sistemica del fenomeno è stata quindi la motivazione per la quale il NUVAP, che aveva la responsabilità di condurre attività di valutazione diretta a livello dell’Accordo di Partenariato 2024-2020, ha scelto di approfondire il tema degli Spazi di comunità e il loro significato nell’ambito delle politiche di coesione. La valutazione è di fatto uno strumento essenziale per rafforzare l’efficacia delle politiche.

Un valore aggiunto di questo lavoro di ricerca è la ricostruzione del fenomeno dal punto di vista delle politiche pubbliche e del privato filantropico, che negli ultimi 10 anni hanno favorito la nascita e sostenuto lo sviluppo degli Spazi di Comunità. Giorgio, come interpretano i policy makers il valore pubblico generato da queste pratiche?

La ricomposizione del quadro di politiche che hanno sostenuto gli Spazi di Comunità è stata una delle sfide di questo lavoro, che ci ha condotto a selezionare e analizzare circa 85 policy promosse in Italia tra il 2012 e il 2022 da tutti i livelli della pubblica amministrazione e dagli enti del privato sociale. Un primo dato che riguarda il valore pubblico di queste pratiche è legato proprio al perimetro di analisi, che è ampio e comprende politiche diverse per settore di riferimento (dal welfare allo sviluppo economico, dalla cultura all’abitare), per tipologia di soggetto promotore o ancora per capacità finanziaria e strumenti messi in campo. Questa grande diversità permette di affermare che il loro valore pubblico è largamente riconosciuto, sebbene gli siano attribuiti significati talvolta molto diversi.
Per esplorare questa diversità abbiamo intervistato i policy-makers e realizzato un’analisi del linguaggio utilizzato dalle politiche. Sono emerse alcune tematiche ricorrenti con cui le politiche si esprimono in relazione al valore pubblico degli Spazi di Comunità: in termini generali, i dispositivi pubblici tendono a parlarne come occasioni di inclusione sociale, mentre i privati come luoghi di politica culturale. Ci sono poi numerose esperienze che li concepiscono come funzionali a una specifica dimensione di valore pubblico: l’accesso ai servizi pubblici, il sostegno al comparto artistico, il protagonismo dei giovani. Infine ci sono policy che si concentrano sulla loro capacità di attivare processi di partecipazione civica.
Dall’altro lato, alcune politiche mettono in questione la canalizzazione di queste esperienze all’interno di un settore di policy e tendono a concepirle come dispositivi abilitanti in grado di perseguire simultaneamente finalità diverse. È il caso di esperienze che si dotano di una infrastruttura a rete di Spazi di Comunità, come le Case del Quartiere a Torino, Latina o Brindisi o la politica pugliese “Luoghi Comuni”.
Quest’ultima fattispecie ci sembra tracciare una strada rilevante per costruire politiche degli spazi: non concepirli come funzionali ad uno specifico obiettivo ma come infrastrutture di prossimità capaci di produrre una propria lettura dei bisogni e una prospettiva di intervento situata sui territori in cui agiscono.

Anche in quanto “Infrastrutture di prossimità”, la ricerca ci racconta che gli Spazi di comunità sono contesti dove si pratica un dialogo continuo, a cavallo tra il formale e l’informale, tra comunità e istituzioni pubbliche. Tecla, quale è il ruolo che il Regolamento dei beni comuni e i Patti di collaborazione ricoprono nell’abilitare e strutturare questi dialoghi?

La nostra ricerca ci ha mostrato che esiste un ruolo specifico e ricorrente delle pratiche di amministrazione condivisa nei processi di costruzione di queste politiche. In particolare, l’adozione dei Regolamenti per l’amministrazione condivisa dei beni comuni è spesso il punto di partenza per un’amministrazione locale che intende costruire una policy a sostegno degli Spazi di comunità. Lo mostrano le vicende di tanti territori anche lontani tra loro: da Torino a Brindisi, da Reggio Emilia a Latina. A Latina, per esempio, la politica delle Case di Quartiere è il risultato di un percorso di capacitazione e formazione sui temi dell’amministrazione condivisa e dei Patti di collaborazione, promosso dalla Giunta comunale a partire dal 2016 e rivolto al personale tecnico del Comune e ai cittadini interessati. A Brindisi l’amministrazione comunale ha promosso iniziative di attivazione e coinvolgimento della cittadinanza, anche attraverso i Patti di collaborazione, e nell’ambito del progetto Case di Quartiere che, utilizzando un insieme di strumenti e dispositivi di policy rispondenti tutti ad una visione strategica unitaria, ha inteso costruire un ecosistema di spazi ri-valorizzati nella città.
La ricerca dimostra che il Regolamento e i Patti costituiscono spesso il primo spazio di azione concreta in cui si sperimenta collaborazione e co-progettazione tra amministrazione e comunità attive, oltre il progetto speciale, e in una prospettiva sistemica di policy.

Casa di quartiere ex Scuola in Via Milazzo, Latina (Foto di: Emanuela Saporito)

Negli Spazi di comunità si fa “esperienza di futuro”

Gli Spazi di comunità sono, come li definisce la ricerca, “pratiche collaborative pubblico-privato-comunità basate sul riuso adattivo di spazi in un’ottica di bene comune”. Sono dunque esperienze molto concrete di commoning, dove si combinano rivendicazione dei diritti per tutte e tutti a partire dall’appropriazione dello spazio dismesso, rappresentazione, dentro i luoghi, di una domanda sociale latente, che spesso sfugge alle politiche pubbliche ordinarie, e produzione di servizi innovativi, di pratiche culturali, di forme del lavoro, di modi di abitare alternativi.
Ma sono anche pratiche di amministrazione condivisa, in cui i policy makers sperimentano gli strumenti della collaborazione, tra Patti di collaborazione e percorsi più strutturati di co-progettazione art. 55, esprimendo così la necessità di integrare i diversi gradi di partecipazione dei cittadini alla cura del bene comune.
Potremmo infine dire che negli Spazi di comunità si fa “pratica di futuro”, stimolando trasformazioni che pongono in diretta connessione innovazione istituzionale e innovazione sociale e aprendo la strada a una rinnovata visione dei luoghi come campo di azione, e dove la dimensione di prossimità diventa la chiave per leggere il bisogno e riorganizzare la risposta collettiva.

Ex Ospedale psichiatrico giudiziario, Napoli (Foto di: Emanuela Saporito)


Emanuela Saporito, Ricercatrice e membro Labsus
Tecla Livi, Ricercatrice
Giorgio De Ambrogio, Ricercatore K-City

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Immagine di copertina: Tagghiate Urban Factory, Lecce di Emanuela Saporito