Non sono fondate le accuse di responsabilità patrimoniale a carico di dirigenti della regione Lazio che hanno proceduto all’acquisto di un immobile sottoposto poi a procedure di partecipazione condivisa per la sua gestione.

Con sentenza n. 136 del 2024 la sezione regionale del Lazio della Corte dei Conti trova l’occasione per confermare la maturazione di una cultura a favore dell’amministrazione condivisa del giudice contabile. La controversia ha origine da un’azione di responsabilità mossa dal Procuratore Generale a carico di alcuni dirigenti della regione Lazio. L’accusa contesta l’atto di acquisto di un immobile – un ex deposito della municipalizzata dei trasporti del Comune di Roma Capitale – occupato senza titolo legittimo da un gruppo di persone, facenti parte dell’associazione Lucha y Siesta, molto attiva in città sulle politiche di sostegno alle donne in generale e, in particolare, a quelle vittime di violenza.

La ricostruzione dei fatti

Per comprendere la vicenda non è inutile indugiare sulla ricostruzione dei fatti. La municipalizzata in questione era soggetta a procedura di concordato preventivo con il comune controllante e, nell’ambito del piano di liquidazione approvato dai creditori, aveva deciso di vendere l’immobile in questione, non più utilizzato dalla municipalizzata e – come detto – occupato sine titulo. Al fine di favorire tale procedura di alienazione il comune si era impegnato a garantire la ricollocazione delle persone occupanti in strutture alternative così da rendere libero e maggiormente appetibile il cespite. Tuttavia, a seguito di una nota emessa dal comune in cui dichiarava l’impossibilità a mantenere fede all’impegno nei tempi previsti, la municipalizzata decideva di accelerare la procedura di vendita. È in questa fase che si inseriva la regione Lazio proponendo un’offerta di acquisto a prezzo più basso di quello indicato a base della procedura, motivata dall’esigenza di dare continuità al progetto di assistenza svolto nell’immobile e dando così applicazione a una legge regionale del 2014 che consentiva l’acquisto di immobili finalizzati al potenziamento delle reti antiviolenza.

Il nodo della controversia

Dopo un anno e più di ulteriori interlocuzioni tra parte venditrice e parte acquirente, si concretizzava l’acquisto da parte della regione Lazio. Successivamente, la Giunta regionale con propria delibera riconosceva la qualificazione di attività di interesse generale alla Casa delle donne, centro gestito – appunto – dall’associazione Lucha y Siesta presso l’immobile interessato. Contestualmente la Giunta invitava l’amministrazione a dare corso a un processo di partecipazione condivisa con l’associazione che tenesse conto anche delle proposte formulate da Lucha y Siesta per promuovere un uso innovativo di bene comune urbano, teso a favorire il potenziamento del centro sociale aggregativo antiviolenza.
È su questo specifico rilievo che si appunta il maggior capo di accusa del Procuratore Generale. A suo dire, infatti, l’intera operazione manifestava un chiaro intento della regione Lazio di utilizzare risorse pubbliche per garantire all’associazione occupante senza titolo l’uso gratuito dell’immobile, in assenza dell’adozione di criteri preliminari, ex art. 12, l.n. 241 del 1990, per l’assegnazione del vantaggio, procurando così un evidente danno erariale.

La sentenza

La Corte giudicante non ha accolto i motivi a base dell’azione di responsabilità. Innanzitutto, i giudici rilevano che l’azione compiuta dai dirigenti è conforme allo specifico interesse pubblico individuato dalla menzionata legge regionale del 2014. I dirigenti, pertanto, avrebbero portato a esecuzione una chiara disposizione legislativa, perseguendo finalità proprie dell’ente. La stessa legge consente alla regione di dare in comodato d’uso alle strutture antiviolenza gli immobili a sua disposizione, il che impedisce alla Corte di valutare sotto il profilo dell’opportunità tali scelte. Per i giudici, inoltre, non è senza rilevanza la circostanza che la misura è stata idonea anche a evitare lo sgombero di donne e minori ospitati nella struttura, per i quali non era stato trovato un rifugio alternativo.

I profili più innovativi della sentenza

La parte più innovativa della sentenza però risiede nel passaggio in cui il giudice valuta l’avvio di partecipazione condivisa con l’associazione Lucha y Siesta. Per il collegio giudicante, infatti, la procedura avviata, lungi dal voler favorire illecitamente l’associazione, «ha riconosciuto la qualificazione di attività di interesse generale alle attività svolte dalla Casa delle Donne Lucha y Siesta (…), come espressione di cittadinanza attiva, conformemente al principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118 cost.» e, sulla base di atti amministrativi e norme legislative, con tale scelta la regione ha inteso salvaguardare la valenza sociale dell’esperienza nell’ambito di un progetto sociale innovativo, in cui il bene interessato non è mai stato indirizzato a uso esclusivo.
A questo proposito, la Corte ravvisa nella procedura seguita l’applicazione dell’art. 7, c. 5, del regolamento regionale sull’amministrazione condivisa dei beni comuni, secondo cui «nell’individuazione degli spazi, dei beni comuni e delle proposte che possono essere oggetto di patti di collaborazione complessi, nonché nella definizione delle relative azioni di cura e modalità di gestione in forma condivisa, l’amministrazione può tener conto delle esperienze, anche a carattere informale o in forma di autogestione, già eventualmente poste in essere in relazione a specifici spazi o beni, valorizzando le comunità civiche di cittadini attivi già impegnate in relazione ad essi».
Si evidenzia così la capacità di emancipazione di esperienze sociali innovative che il principio di sussidiarietà orizzontale, da una parte, e l’amministrazione condivisa, dall’altra, operano. La vicenda testimonia che sia praticabile un uso innovativo del diritto che sappia valorizzare le pratiche che, pur nate fuori da un percorso di legittimazione preventiva, guadagnano la propria legittimazione in funzione delle attività rese con il coinvolgimento di cittadinanza e comunità, purché siano verificate le condizioni di uso a finalità generale dei beni.

Un’ultima considerazione sul rapporto tra politica e amministrazione

In disparte, merita una considerazione ulteriore il passaggio in cui i giudici affrontano il tema del corretto rispetto del principio di separazione tra politica e amministrazione. Il Procuratore Generale ha infatti contestato ai dirigenti interessati che non abbiano fatto uso della loro autonomia per opporsi a decisioni degli organi politici palesemente illegittime. Al contrario, l’organo giudicante ha invece reputato perfettamente coerente l’operato dei dirigenti, i quali, dando seguito a norme di legge e volendo proteggere persone svantaggiate ospitate evitando anche di gestire problemi sociali determinati da un eventuale sgombero, ha inteso dar seguito a una precisa volontà politica già determinata. La circostanza, secondo la quale le scelte normative poste a base dell’operato dei dirigenti fossero da ispirate dal principio di sussidiarietà orizzontale, non fa venir meno il carattere legittimo delle decisioni e, anzi, ha costituito il fondamento giuridico necessario per radicare la correttezza delle stesse.

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Immagine di copertina: Cristina Gottardi su Unsplash