Il passato è un bene comune.
L’archeologia, che parla attraverso gli oggetti prodotti dall’uomo nel corso dei secoli, è un bene comune. “Attraverso gli oggetti rotti, scartati, perduti, il passato torna a parlarci, e le cose danno voce alle persone che le fecero, le usarono, le scartarono, le dimenticarono o le persero” (D. Manacorda). Sono le voci dell’umanità che raccontano frammenti di storie di persone spesso invisibili e dimenticate e narrano la biografia della società nella sua interezza.
I reperti archeologici, quindi, appartengono a due dimensioni temporali diverse ma entrambe necessarie: il passato, in cui sono stati prodotti e utilizzati, e il presente, in cui sono tornati a vivere con un nuovo ruolo e un diverso significato. Per questo, l’archeologo che raccoglie un reperto e il curatore che lo espone nel museo devono tenere ben presente le persone vive che hanno creato e usato quell’oggetto, e non dimenticare mai il ruolo e il significato che quell’oggetto può avere nella società contemporanea.
In questo senso, dunque, gli scavi, i parchi e i musei archeologici sono i luoghi in cui è custodita la memoria collettiva: per questo devono farsi promotori dello sviluppo sociale e culturale delle comunità, sperimentando forme di innovazione sociale che prevedano la partecipazione attiva dei cittadini e siano in grado di generare valore, non tanto legato al profitto, bensì in termini di benefici per l’ambiente e di benessere per la comunità di riferimento.
L’archeologia partecipativa rappresenta oggi una delle più importanti opportunità di sviluppo della disciplina. Forse la sola che, con metodi codificati e approcci in continuo aggiornamento, è in grado di coinvolgere la comunità nella sua potenziale interezza, avendo cura della vita e degli interessi quotidiani delle persone.
Archeologia e citizen science.
Nel nostro paese, ad esempio, una concreta opportunità di crescita è rappresentata dalla citizen science ovvero la partecipazione attiva dei cittadini alla ricerca scientifica e quindi agli scavi archeologici.
Nel mondo ci sono moltissimi cittadini coinvolti nella ricerca scientifica, citizen scientists, volontari del sapere, che traggono il massimo della soddisfazione nel conoscere e nel partecipare al progresso comune. L’applicazione della citizen science in ambito archeologico, tuttavia, non è ancora pienamente accettata nel nostro paese, dove incontra molte resistenze dovute essenzialmente alla mancanza di protocolli e procedure che regolino con chiarezza i ruoli e le mansioni che un “non archeologo” può svolgere all’interno di uno scavo.
Un’esperienza pionieristica è in corso dal 2009 sul cantiere dell’Area archeologica di Poggio del Molino a Populonia (Piombino – LI), configurato e gestito da Fondazione Aglaia come cantiere-scuola per studenti e volontari di tutto il mondo, con mansioni diversificate a seconda dell’età e della finalità della partecipazione: attività accessorie per i volontari (movimentazione e setacciatura della terra, pulizia, lavaggio e siglatura reperti, ecc.) e lavoro pesante per gli studenti universitari (dal piccone alla trowel, cazzuola da scavo, fino alla redazione della documentazione descrittiva, fotografica e grafica).
Il ruolo dei volontari, dunque, è quello di coadiuvare i ricercatori nella raccolta del dato grezzo sul campo e nelle attività per le quali non è richiesta alcuna specializzazione. Gli archeologi forniscono ai volontari gli strumenti teorici e pratici per collaborare alle attività dello scavo, insegnano loro cosa fare e come farlo, guidandoli in ogni passo, in un percorso di apprendistato continuo.
A Poggio del Molino, i volontari, oltre a provvedere alle spese del proprio soggiorno (vitto e alloggio), attraverso un contributo di partecipazione coprono gran parte delle spese necessarie a garantire il budget di scavo, compresi i compensi per gli archeologi. Si tratta in sostanza di gesti di generosità che derivano dal piacere della condivisione del sapere e dal desiderio di contribuire alla valorizzazione del bene comune, traendone in cambio benessere individuale.
L’esperienza di archeologia partecipativa di Poggio del Molino ha inoltre dato vita ad un Parco di Archeologia Condivisa, ovvero un’area pubblica attrezzata accessibile a tutti, nata intorno al cantiere di scavo archeologico, dove i cittadini possono trascorrere il loro tempo libero ed assistere alle operazioni di scavo e ricerca archeologica. La realizzazione del PArCo ha permesso di accrescere la capacità di accoglienza del sito, di creare spazi di condivisione per gli archeologi e la comunità, di migliorare l’offerta didattica e la comunicazione, ma soprattutto di restituire a tutti i cittadini una porzione di territorio unico e straordinario.
Salutogenesi dell’archeologia.
Le esperienze più innovative di archeologia partecipativa sono senza dubbio quelle inclusive, di archeologia sociale, in cui team interdisciplinari di professionisti sviluppano azioni di coinvolgimento attivo della comunità per migliorare la qualità della vita delle persone e accrescerne la responsabilità sociale. Favorire la partecipazione dei cittadini alla vita dei musei e dei parchi, infatti, è un obbligo etico e una necessità politica: rivitalizza la società, rafforza la democrazia, promuove la coesistenza e la coesione sociale, per una migliore qualità della vita.
In questo senso, uno studio rivoluzionario promosso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2019 sull’efficacia delle attività culturali e creative quale fattore di promozione del benessere individuale e della coesione sociale ha dimostrano come i luoghi della cultura, e in particolare i musei, siano ambienti emotivamente super stimolanti che generano effetti positivi misurabili sul corpo, la mente e il comportamento delle persone. Il contesto museale risulta quindi particolarmente indicato per le persone fragili e con disabilità, perché genera un forte impatto sulla salute mentale contribuendo alla salutogenesi e all’incremento del benessere psico-fisico.
In questo senso, con sempre maggiore evidenza sta emergendo come il museo archeologico stimoli in maniera sorprendente – e ancora largamente inesplorata – l’interesse, la sensibilità e la memoria delle comunità fragili. In particolare, uno studio – ancora in corso – coordinato dal Sistema Musei Toscani per l’Alzheimer, condotto al Museo Archeologico di Rosignano Marittimo in collaborazione con Fondazione Aglaia e la RSA “Bastia” di Livorno, finalizzato a valutare l’impatto generato dalle attività museali dedicate alle persone con demenza e Alzheimer, mostra come l’archeologia abbia un elevato potenziale benefico nei processi di stimolazione degli anziani con degenerazione cognitiva: da un lato infatti i reperti archeologici sono per la maggior parte oggetti di uso comune, facili da comprendere (piatti e coppe, gioielli e balsamari, monete e armi, oggetti per filare, pescare, cacciare, ecc.), che portano con sé infinite storie quotidiane di persone “comuni” che hanno vissuto migliaia di anni fa; dall’altro il contesto di provenienza dei reperti è il territorio che ci circonda, “casa nostra”, luoghi noti, vissuti e visti mutare nel corso del tempo.
L’archeologia è, quindi, una grande scatola in cui sono conservate le memorie materiali degli uomini e delle donne che hanno vissuto la nostra terra in tempi remoti.
“Archeocleaning”
Con un processo di apertura che prevede una riorganizzazione delle sue pratiche e dei campi di ricerca, l’archeologia ha quindi il dovere di essere partecipativa e inclusiva con un preminente ruolo sociale: elementi fondamentali dell’esperienza archeologica sono l’incontro e il contatto con la cultura materiale (oggetti e monumenti) e il patrimonio immateriale (storie, diari e memorie) del passato, e il contatto con la natura e il paesaggio che ci circonda.
Che l’archeologia sia un eccellente strumento di rigenerazione della persona nella mente e nel corpo, lo dimostra un altro pionieristico programma coordinato da Fondazione Aglaia insieme all’Associazione Comunicare per Crescere ODV nell’ambito del Sistema dei Musei e Parchi Partecipativi della Toscana, il progetto “Archeocleaning”, a cui partecipano i pazienti della Società della Salute delle Valli Etrusche, in particolare del Servizio Salute Mentale Adulti.
Avviato nel 2022, nei primi due anni il progetto si è svolto interamente alla sede dell’associazione, Palazzo della Vigna di Montioni sorto per ospitare l’azienda agricola voluta da Elisa Bonaparte Baciocchi, sorella di Napoleone, nel Comune di Suvereto. Obiettivo generale era creare e consolidare il legame tra i partecipanti e il patrimonio storico-culturale del territorio, attraverso il coinvolgimento attivo alle operazioni di conservazione (pulizia) e valorizzazione (comunicazione) del patrimonio storico-archeologico, con il fine di stimolare il senso di appartenenza e generare impatto sociale, culturale ed economico per l’associazione e i suoi ospiti. In particolare, il progetto prevedeva il ripristino della cosiddetta “Strada di Elisa”, un breve percorso che dalla fattoria conduceva alla via principale che collegava Suvereto a Massa Marittima.
Per realizzare il progetto è stato costituito un gruppo di lavoro, composto da ragazzi e ragazze indicati dalla Società della Salute, insieme a archeologi, architetti, storici, educatori e volontari che hanno collaborato con psichiatri, psicologi e operatori sanitari: il gruppo si è consolidato nel corso del tempo e il progetto è diventato un caposaldo della programmazione dell’associazione e della SdS.
Nel 2024, complice la donazione all’associazione di un van 9 posti, il progetto si è evoluto: il gruppo è uscito dalla comfort zone di Palazzo della Vigna per esplorare, conoscere e toccare con mano i musei e i parchi del territorio limitrofo. Forti delle competenze acquisite nei due anni precedenti, infatti, il gruppo si è attivato per svolgere azioni di cura e pulizia degli spazi museali, in particolare delle aree archeologiche, dove sono state pulite le strutture murarie antiche (ovviamente il PArCo di Poggio del Molino e altri siti), e dei musei, dove sono state pulite le vetrine dei reperti e interi settori espositivi (al Museo etrusco di Populonia, al Civico di Rosignano Marittimo, al Nazionale di Castiglioncello), in cambio di visite guidate approfondite ed esclusive condotte dai direttori e dagli specialisti dei luoghi interessati.
Concludendo.
È quindi un dato inequivocabile che l’archeologia partecipativa faccia bene alla salute. Il coinvolgimento in attività archeologiche o sussidiarie alla ricerca e il contatto con gli oggetti antichi genera impatti positivi su tutta la comunità e in particolare sulle persone fragili, con disabilità fisiche o mentali, anziani con Alzheimer e demenza.
Anche l’Agenda 2030 dell’Unione Europea, e ancor prima la Convenzione di Faro del Consiglio d’Europa, definiscono tra le linee strategiche di sviluppo sostenibile programmi e progetti volti a riconnettere la pratica archeologica e l’interpretazione del passato con i bisogni sociali, sanitari e culturali dei cittadini di oggi.
Al centro della riflessione, dunque, non è più il patrimonio archeologico in sé, ma le persone che interagiscono con questo patrimonio e il valore che esse gli riconoscono: un valore relazionale, direttamente proporzionale al fatto di riconoscerlo e sentirlo proprio, così da volersene prendere cura, tutelarlo, valorizzarlo e trarne benefici. Che senso avrebbe infatti il patrimonio culturale senza i cittadini?
Carolina Megale – Direttrice Museo Civico Archeologico di Rosignano Marittimo
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Immagine di copertina: Volontari all’Area archeologica di Poggio del Molino (immagine condivisa da Carolina Megale)